L’ira di Mosca: «È un attacco politico». E teme per i Mondiali di calcio

L’ira di Mosca: «È un attacco politico». E teme per i Mondiali di calcio
di Giuseppe D'Amato
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Sabato 21 Novembre 2015, 10:14 - Ultimo aggiornamento: 10 Novembre, 08:40
E’ la classica sindrome da accerchiamento, a Mosca si parla chiaramente di «motivazioni politiche». Qualsiasi evento fuori dai propri schemi viene considerato una «provocazione» o il tentativo di mettere in cattiva luce la «Grande Madre Russia».

L’ex superpotenza, è bene sottolinearlo, sta vivendo un momento delicato: ha enormi problemi economici ed ha scelto di battersi apertamente per un «mondo multipolare» contro l’egemonia occidentale, leggasi americana. Si sente sola, o quasi, contro tutti. Per di più incompresa. Lo scoppio della crisi ucraina, nell’autunno 2013, ha determinato questo rivoluzionamento di posizione rispetto alle scelte geostrategiche seguite al crollo dell’Urss nel 1991. Se in precedenza la creazione dell’Organizzazione di Shanghaj con la Cina e la partecipazione al Brics (il club dei Paesi emergenti) erano il naturale modo per rafforzare gli interessi di una potenza regionale su due continenti, adesso la chiusura ad Ovest ha provocato soltanto un isolamento pericoloso ed il ridimensionamento dei flussi finanziari internazionali verso la Russia. Da poche settimane il Cremlino si è pure schierato in Medio Oriente con gli sciti contro i sunniti filo-arabi ed occidentali, creando in pratica un’alleanza con l’Iran, con cui ha appena firmato un contratto per la fornitura dei temibilissimi missili SS300.

Insomma lo scontro tra Russia ed Occidente è frontale come ai tempi della Guerra Fredda. Lo sport non è mai stato esente da queste battaglie. Come non rammentare i reciproci boicottaggi dei Giochi di Mosca 1980 e di Los Angeles 1984? Per un certo periodo, agli albori del secolo scorso, i sovietici volevano fare delle Spartachiadi la versione anti-occidentale delle Olimpiadi. Poi tornarono sui loro passi. Vladimir Putin ha utilizzato lo sport per rilanciare l’immagine della Russia in Patria e nel mondo dopo il primo difficile decennio post sovietico. L’organizzazione di grandi eventi internazionali è servita anche da volano per rammodernare il Paese.

Che qualcuno prima o poi si volesse levare qualche sassolino dalle scarpe era evidente. Ad esempio, a pochi è piaciuto che alle Universiadi di Kazan del 2013 la Russia abbia presentato una squadra di professionisti e non di giovani universitari, facendo il record di medaglie vinte 292, di cui 156 d’oro. Come al solito il voler strafare è stato deleterio.

LA PROPAGANDA
Stesso discorso per l’assegnazione dei Mondiali di calcio 2018, la prossima bomba ad orologeria destinata a scoppiare. Appena la Fifa si darà un nuovo presidente dopo l’eterno Sepp Blatter – a meno di sorprese il 26 febbraio prossimo – sarà non facile evitare una verifica delle procedure di assegnazione alla Russia. Putin e l’establishment sportivo hanno già fatto le loro mosse, ma non si sa se esse saranno sufficienti. Si sa perfettamente che sono stati i britannici a non aver digerito il voto di Zurigo 2010, quando i russi li sconfissero sorprendentemente.

A non pochi occidentali non è nemmeno piaciuto come il Cremlino ha gestito le Olimpiadi invernali di Sochi 2014 sotto il profilo propagandistico e nazionalistico. Ecco perché qualcuno si augura di scippare all’ultimo momento il Mondiale di calcio a Putin e soci. Ma isolare e mortificare la Russia nel suo orgoglio può essere pericoloso.

L’ex superpotenza, oramai troppo imprevedibile nelle sue reazioni, ha bisogno di un appuntamento come quello calcistico per aprire le sue porte al mondo. Una ventata di aria fresca è necessaria proprio ora che il Paese si è rinchiuso in sé stesso. Anche su questo ultimo scandalo si scorgono impronte britanniche. Ma si colpiscano le singole responsabilità, se vi sono state, e non si penalizzi un intero Paese. Altrimenti le teorie del complotto l’avranno vinta.
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