Cecilia Bartoli: «Io, primadonna dell'Opera, riapro il Galli di Rimini dopo 75 anni»

Cecilia Bartoli al Teatro Amintore Galli di Rimini
di Rita Vecchio
5 Minuti di Lettura
Lunedì 29 Ottobre 2018, 20:20 - Ultimo aggiornamento: 30 Ottobre, 10:33

«Sono stra-contenta. Riaprire un teatro è un momento storico». Cecilia Bartoli scende dal palco dell’Amintore Galli di Rimini seguita da dieci minuti di applausi per la prima rappresentazione dopo 75 anni di chiusura di questo teatro. Classe 1966, è una vera forza della natura e - pure quando firma centinaia di autografi nel foyer -  il successo pare non averle montato la testa. Regina della vocalità italiana, mezzosoprano romano di origini riminesi, trent’anni di carriera, più di dodici milioni di dischi venduti, vincitrice di Grammy Award, ha debuttato a Rimini con La Cenerentola di Gioachino Rossini. 
 

 

Emozionata? 
Di più… Sono super felice: è un momento davvero importante per la storia di tutto il teatro. La riapertura del G​alli di Rimini - dopo il bombardamento del 1943 durante la Seconda Guerra Mondiale che lo distrusse - ci fa onore se consideriamo la situazione attuale in cui versano i teatri italiani. A questo si aggiunge per me il ricordo affettivo: mio padre era di Rimini, e fin da piccola mi raccontava la storia di questo luogo simbolo della città, dove si esibivano cantanti importanti. Era un tenore: sarebbe stato entusiasta.

Il debutto con la Cenerentola
Una fiaba triste con un finale meraviglioso. Un viaggio nel mondo rossiniano messo in scena qui con la forma semi-scenica e strumenti d’epoca. E poi, Le Musiciens du Prince di Monaco diretti magistralmente da Gianluca Capuano, il coro maschile dell’Opéra di Monte-Carlo, e un cast stellare come Edgardo Rocha (Don Ramiro), Alessandro Corbelli (Dandini), Carlos Chausson (Don Magnifico).

Dove c’è la Cenerentola, c’è la Bartoli: non è vero?
Rossini è un compositore che mi ha fatto compagnia durante la carriera e quest’anno ricorre il centocinquantenario dalla morte. Pensi che non avevo nemmeno venti anni quando debuttai con Rosina del Barbiere di Siviglia all’Opera di Roma e che Cenerentola arrivò al Metropolitan di New York per la prima volta nel 1997 con me. Quello di Angelina è un ruolo che amo molto. Con il rondò finale, Rossini dà a noi cantanti un grande insegnamento: riuscire a concentrare le energie e a bilanciare le forze. Sono pagine vocali difficili che richiedono tanta tecnica ed esperienza. E poi lei, personaggio concreto: in casa è l’unica a lavorare, le due sorellastre non fanno niente dalla mattina alla sera.

Ma nella vita è più cenerentola o principessa? 
Non saprei dirle. Vengo da una famiglia di cantanti. Però, come spesso capita, all’inizio non ne volevo sapere di fare la cantante (ride, ndr) 

E cosa voleva fare? 
La ballerina di flamenco (ride, ndr). Mi iscrissi pure in un gruppo semi-professionale. 

E poi?
Lasciai perché ero più portata per la musica.

Dica la verità: balla ancora?
No. A parte qualche passo di nascosto e per scherzo (ride, ndr). La danza però mi ha aiutato a gestire i movimenti sul palco.

Mondo difficile l’opera? 
Ci vuole volontà e disciplina. La voce è uno strumento musicale che, a differenza degli altri, è interno al nostro corpo. É lo strumento più toccante dell’anima, ma anche il più fragile. Basta un raffreddore, e per noi diventa una catastrofe. 

Si sente un po’ primadonna?
Sì. Rientra nel ruolo delle eroine dell’opera. 

Pregiudizi legati a ruoli divistici?
Forse sì. Ma anche qui è l’opera stessa che ci aiuta con personaggi scritti apposta. La Tosca, la Traviata, e via dicendo: sono personaggi femminili e non si scappa.

Le hanno mai detto: questo è da “uomini”?
Credo che la difficoltà maggiore sarebbe stato se io fossi stata un direttore d’orchestra. Non sono tante le donne. Come cantante, raggiungere certe posizioni è difficile, ma se hai carisma, amore e passione, ci riesci. 

Però lei è la prima donna a dirigere un Festival, quello di Salisburgo.
Vero. Prima c’era Riccardo Muti.

C’è competizione e invidia?
Certo che ci sono, come in tutti gli ambienti. C’è da dire che nell’opera cantiamo dal vivo. E anche qui, non puoi scappare. 

È diversa dal pop?
C’è una differenza enorme. Anche se poi, è lo stesso lavoro. Mi diverte sempre ricordare quando un giorno - ero a Toronto per un concerto - chiamai l’ascensore dell’albergo dove alloggiavo. Si aprirono le porte e dentro c’era Mick Jagger circondato da guardie del corpo. Mi fecero entrare: lui era diretto allo stadio, io in teatro. Ma pur con generi diversi, entrambi - pensai - stavamo andando a cantare.

Vi siete parlati? 
No. Ci siamo guardati, non so se lui mi ha riconosciuto. È vero che l’opera è popolare, ma il pop dà più visibilità.

Sì, ma Lei è pop. La sua prima volta è stata in tv…
«Ho debuttato con Pippo Baudo a Fantastico: lui cercava talenti e io fui scelta. Frequentavo il Conservatorio di Santa Cecilia di Roma. Cantai proprio qualche aria di Rossini, e Katia Ricciarelli mi fece da madrina. Mi sono divertita molto»

Lo sente ancora Baudo? 
Lo ritengo un caro amico. È mio grande fan e io ho una stima immensa di lui. Ha fatto tanto per la tv. 

L’opera non se la possono permettere tutti. 
Esatto. Anche se poi, guardando i prezzi alti dei concerti pop, il cliché dell’opera viene smontato. Rimasi allibita quando ho comprato due biglietti per mia nipote, fan scatenata degli One Direction. Il teatro classico non può fermarsi: deve continuare ad andare avanti. Va sostenuto.

E come? 
Con leggi e politica presenti. Basterebbe credere di più nel nostro patrimonio. Lo Stato siamo noi. E l’Italia è un museo a cielo aperto. Dobbiamo averne cura e trattarlo con rispetto.

Dopo Rimini, progetti da realizzare? 
Porterò in giro il nuovo album “Antonio Vivaldi” inciso per Decca. È il secondo lavoro discografico su di lui (il primo, “Vivaldi Album” nel 1999 vendette un milione di copie, ndr).
Allora mi concentrai sul virtuosismo, questo è un disco più melodioso, melanconico, profondo, drammatico. Lo porterò in tour in Europa aggiungendo altro repertorio. Sarò a marzo al San Carlo di Napoli e tornerò al Teatro alla Scala con Händel.

© RIPRODUZIONE RISERVATA