Al Mart di Rovereto l'arte del Ventennio contro ogni schema

Al Mart di Rovereto l'arte del Ventennio contro ogni schema
di Laura Larcan
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Giovedì 18 Aprile 2024, 21:41 - Ultimo aggiornamento: 19 Aprile, 06:40

C’è il ritratto pittorico dall’aura borghese, quasi bohémien, giocato su macchie di colore e pennellate veloci. E c’è il busto marmoreo lattiginoso di classica fierezza. Sotto l’euforia futurista diventa condottiero a cavallo di eroico dinamismo, per poi trasfigurarsi in un profilo astratto che ruota a 360 gradi metafora di colui che tutto vede e controlla. Tutte le avanguardie artistiche hanno fatto i conti con la figura di Benito Mussolini. Un’immagine del potere declinata tra correnti e movimenti, sperimentazione individuale e echi di propaganda. Ed è questo uno dei temi forti della mostra Arte e Fascismo, in scena fino all’1 settembre al Mart di Rovereto che raccoglie ben 400 pezzi tra opere e materiali d’archivio per indagare l’arte del Ventennio, che passa per l’energia del futurismo, il “ritorno all’ordine” del movimento Novecento, l’architettura razionalista, sfiorando anche le visioni del Surrealismo e del Realismo magico. 

Un'idea di Vittorio Sgarbi


Un’impresa, dunque, nata da un’idea di Vittorio Sgarbi e tradotta nella cura di Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari. La rassegna punta a risolvere un dilemma: cosa accade all’arte italiana con l’avvento del fascismo? «La produzione artistica diventa complessa e varia, senza negazioni e senza reticenze - precisa Beatrice Avanzi - il fascismo, lo sappiamo, è stato il periodo più buio della nostra storia recente, ma non significa arte di regime. In Italia si verificò una situazione per molti versi anomala, per cui non ci fu un’arte di Stato intesa come linguaggio celebrativo univoco».


In questo andamento eterogeneo, si incontrano grandi illustri maestri, protagonisti di una stagione storica, ciascuno con le proprie velleità e sfide. Si riconoscono Adolfo Wildt, Arturo Martini, Giorgio Morandi, i più convinti sostenitori come Fortunato Depero e Mario Sironi, Felice Casorati e Achille Funi, Anselmo Bucci e Massimo Campigli, fino a Renato Guttuso, al fianco di artisti meno conosciuti e opere dimenticate, proprio perché troppo legate al fascismo. Il repertorio è vastissimo. Si snoda in otto sezioni tematiche che indagano la sequenza temporale delle ricerche.

Il bello è anche riscoprire la figura di Margherita Sarfatti, critica d’arte, mecenate, collezionista, colei che ha promosso e sostenuto il gruppo del Novecento, all’insegna di una «limpidità nella forma e compostezza nella concezione». Ha giocato ruolo chiave nell’orientare il gusto e l’attenzione di Mussolini verso le arti figurati, per poi passare sotto la scure dell’etichetta di «amante». 


Eppure gli artisti da lei raccolti danno proprio il senso della libertà espressiva: tra le stilizzazioni arcaiche di Campigli, le atmosfere sospese di Casorati, i valori tonali di Morandi, le masse pesanti e squadrate di Sironi. Una donna celebrata al Mart anche dallo spettacolo teatrale Sarfatti, nato da un’idea del critico Massimo Mattioli autore della biografia dedicata a questo personaggio. «Chi visiterà le sale rimarrà sorpreso dalla varietà dei linguaggi che trovarono espressione negli anni del Ventennio - continua Avanzi - Dalla persistenza dell’avanguardia fino alla moderna classicità di Novecento. L’arte, in quanto espressione dello spirito, è eterna. E sopravvive ai drammi della storia». C’è l’epopea del Futurismo, da Prampolini a Balla, con l’esaltazione di un’estetica moderna. E l’arte monumentale, con i primi murali d’autore che veicolano valori e ideali, con Sironi, Funi, Campigli.

I miti e la propaganda


L’architettura razionalista, poi, passa anche per l’epopea delle città di fondazione con la bonifica dell’agro-pontino. Il mito, gli eroi e il sistema dei premi, cede poi la scena all’epilogo della caduta della dittatura. «Il Ventennio è stato un’epoca buia, retta da un regime che ha ingannato, ma che rispetto alla funzione dell’arte e al ruolo degli artisti è stato meno censorio, almeno fino alla promulgazione delle leggi razziali nel 1938 - commenta Daniela Ferrari - Il potere dell’arte, in fondo, non fece paura a chi il potere lo deteneva. Mussolini si dichiarò persino amico degli artisti».

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