Agì con premeditazione, portando sul luogo dell'appuntamento quella pistola che poi usò. Deve rispondere di omicidio volontario aggravato dai futili e abietti motivi rappresentati dalla gelosia Costantino Bonaiuti, l'ingegnere di 61 anni che la sera del 13 gennaio scorso uccise la sua ex compagna, Martina Scialdone, 34 anni. Ieri si è aperto il processo davanti ai giudici della Corte di Assise e la madre della giovane avvocatessa romana insieme al fratello si sono costituiti parte civile. Per i pubblici ministeri del pool antiviolenza, Barbara Trotta e Daniela Cento, coordinate dal procuratore aggiunto Michele Prestipino, l'ingegnere quella sera agì con premeditazione «portando con sé l'arma sul luogo dell'appuntamento essendo consapevole della volontà di interrompere definitivamente la relazione» da parte della Scialdone che Bonaiuti controllava «grazie all'installazione clandestina di un dispositivo gps» collegato «al suo cellulare». Lo scorso gennaio, il gip Simona Calegari nella convalida dell'arresto fu inequivocabile: «l'unico obiettivo perseguito da Bonaiuti» era «esclusivamente quello di uccidere la Scialdone. Infatti, ciò si evince non solo dalle modalità di svolgimento dei fatti così come descritti dal fratello della vittima, testimone oculare, ma anche dalla circostanza che Bonauiti, pur potendo, anche successivamente all'evento rivolgere l'arma nei suoi stessi confronti, ha con estrema lucidità, una volta ucciso la donna, diretto la sua azione esclusivamente alla fuga».
LA DINAMICA
Quella sera l'ingegnere cercò insistentemente di incontrare l'avvocatessa che non accettò l'invito a cena trovandosi a casa del fratello. Messaggi e telefonate ripetute la spinsero tuttavia a incontrare l'uomo che dopo un breve diverbio di fronte a un locale di viale Amelia (quartiere Tuscolano) estrasse la Glock semiautomatica calibro 45, detenuta per uso sportivo, premendo il grilletto. L'omicidio si consumò di fronte agli occhi di Lorenzo Scialdone, fratello della vittima, che arrivò in viale Amelia perché Martina gli aveva scritto. Il ragazzo sapeva delle intenzioni della sorella, della volontà di interrompere quella relazione con Bonaiuti, si infilò di corsa le scarpe e arrivò al locale. Alla polizia, che condusse le indagini, ricostruì la dinamica: l'ingegnere sparò da una distanza di un metro, un metro e mezzo puntando e colpendo la vittima al torace.
Ieri oltre ai familiari, si è costituta parte civile anche l'associazione "Insieme a Marianna" per il contrasto della violenza sulle donne. «Iniziamo questo percorso che per le parti civili sarà molto doloroso. Per chi ha studiato il processo quello che è accaduto è stato ampiamente provato», ha commentato l'avvocato di parte civile, Mario Scialla. E in aula, nella prima udienza, era presente anche uno dei titolari dello studio dove Martina lavorava: «Ci aspettiamo che venga resa giustizia - ha detto l'avvocato Giulio Micioni all'Adnkronos - non ci sembra che ci possano essere dubbi sull'autore e sulle aggravanti contestate». A supporto dell'accusa contro l'imputato «ci sono testi oculari - conclude Scialla - e testi di ampio respiro, sequestri di cellulari, ricostruzioni, accertamenti specifici; manca la confessione anche perché» l'imputato «non ha mai reso dichiarazioni». Il processo è stato aggiornato al prossimo dicembre.