Roma, uccise i figli a Rebibbia. Il gip: serviva più controllo

L'’area femminile del carcere di Rebibbia dove Alice Sebesta, 33 anni, detenuta, ha ucciso i suoi due figlioletti
di Adelaide Pierucci
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Giovedì 16 Aprile 2020, 10:41

Le detenute temevano per i loro figlioletti. Quella donna, che in preda alla follia poi ha ucciso i suoi due bambini «per salvarli dalla mafia e dai pedofili», gridava sempre come una ossessa e rubava i giocattoli degli altri piccoli. Andava quindi curata, controllata a vista, forse subito liberata. Le motivazioni della sentenza di assoluzione di Alice Sebesta la detenuta tedesca di 34 anni che il 18 settembre del 2018 ha ucciso scaraventandoli dalle scale del nido di Rebibbia i figlioletti, Faith,6 mesi e Divine di 19, rimettono al centro dell’inchiesta le presunte responsabilità dei vertici del carcere. Il gip Anna Maria Gavoni, che, a conclusione di un procedimento in abbreviato, ha ritenuto incapace la mamma riservandole 15 anni di affidamento in una Rems, ha sollecitato nuove indagini sulla gestione dell’istituto penitenziario. 

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«Va disposta - ha scritto il giudice - la trasmissione degli atti al pubblico ministero per quanto di competenza in relazione alla individuazione di eventuali responsabilità attesa la fragilità psicologica manifestata dalla Sebesta sin dall’ingresso nella casa circondariale». Il giudice elenca «episodi significativi» che avrebbero dovuto far scattare la massima allerta. Nel passaggio della sentenza non si fa riferimento alla psichiatra finita indagata in un procedimento parallelo per non aver mai visitato la detenuta, e sulla quale pur la procura sta ancora lavorando, ma si allarga il cerchio senza specificazioni puntando il dito contro «eventuali negligenze» di tutti «i preposti». 
 
Il 29 agosto, alla direzione del carcere, dove Alice Sebesta, trovata con dieci chili di marijuana, è appena arrivata coi suoi bambini e l’accusa di traffico di stupefacenti, perviene la segnalazione delle detenute della cella 4. La detenuta tedesca aveva fatto i bisogni nel bidet e continuava «a infastidire i bambini togliendo loro i giochi dalle mani o rimproverandoli urlando come una ossessa». La nota continua così: «A un giro di controllo la detenuta, richiamata dalla scrivente poiché non prestava attenzione al figlio che stava sul pavimento, rispondeva con parole incomprensibili e con fare molto minaccioso. La si invitava alla calma, ma inutilmente. Le detenute della quarta stanza erano molto preoccupate per i loro bambini». Nella stessa data un’altra relazione pone l’accento sia ai timori delle compagne di cella per i loro bimbi, sia al fatto che la Sebesta rifiutasse il cibo per i suoi rispondendo ai solleciti «urlando e sbraitando», e per di più in tedesco lingua da nessuno compresa.

Il 3 settembre scatta un’altra annotazione: «La detenuta è segnalata alla specialista psichiatra per una valutazione dei comportamenti. E alla psicologa e all’educatrice per i colloqui di sostegno». Per lo stesso giorno il registro del nido riporta un sollecito di controllo della Sebesta «perché sembra che i suoi bambini possano essere soggetti a atti di negligenza da parte sua». Viene proposto quindi il regime di grande sorveglianza, che verrà disposto l’indomani ma solo per una settimana. «La stessa però - viene annotato il 4 settembre - sarà comunque segnalata all’educatore e alle puericultrici perché verifichino il comportamento rispetto ai due figli». Il 17 una lite tra detenute. La «tedesca» si rifiuta al solito di pulire i pavimenti e passa sul bagnato col figlioletto in braccio urlando.

«Comportamento pericoloso per entrambi», fa annotare una rom. Un’ora dopo altro intervento: «La detenuta grida e fa urtare involontariamente la testa della figlioletta Faith contro una porta». Il giorno dell’orrore altre formalità. Una relazione attesta «che la detenuta ha comportamenti a dir poco pericolosi per i suoi figli».

Ma Faith e Divine, come più volte sottolineato dall’avvocato Andrea Palmiero che assiste Alice, verranno lasciati comunque tra le braccia della mamma.

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