Coronavirus, allarme case di riposo: «Anziani soli, operatori stremati e pochi dispositivi di protezione»

Coronavirus, allarme case di riposo: «Anziani soli, operatori stremati e pochi dispositivi di protezione»
di Michela Allegri
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Domenica 5 Aprile 2020, 15:39

Massimo Scarpetta, consigliere della Federazione Regionale Uneba Lazio (Unione Nazionale Istituzioni e iniziative di assistenza sociale), esperto di organizzazione e gestione di strutture socio-assistenziali ed educatore socio-pedagogico, parla della difficile situazione delle case di riposo nei tempi dell’emergenza coronavirus.

Come viene affrontata nelle strutture l’emergenza?
«Con grande spirito di sacrificio e dedizione. Le strutture non sono dotate dei presidi necessari. Ma ci sono anche aspetti psicologici da non sottovalutare. Gli anziani si sentono isolati, hanno paura, ascoltano le notizie dalla televisione e sono smarriti e preoccupati. Non hanno contatti fisici con i familiari, non ricevono più abbracci, carezze che fanno bene allo spirito. Hanno perso molte relazioni affettive e gli unici contatti sono con gli operatori e il personale interno».

E gli operatori come stanno reagendo?
«Sanno bene che gli anziani hanno solo loro in questo momento, si tratta dell’unico contatto reale con il mondo esterno. Ovviamente temono di poter essere veicoli dell’infezione, rischiano di contagiare ma anche contagiarsi, sentono di rappresentare un pericolo, loro che di solito si prendono cura, e non solo per l’anziano, ma anche per la propria famiglia. Anche i gestori dei centri stanno vivendo un momento molto difficile: sono schiacciati fra le richieste dei sindacati di assicurare la sicurezza ai lavoratori e le mancate risposte delle autorità preposte, Regione, Comuni e Aziende Sanitarie. Devono sostenere gli operatori con la loro vicinanza, ma devono anche gestire i difficili rapporti con i familiari dei degenti e far fronte alla quotidianità, che non è cosa da poco. Uneba, con lettera del 2 aprile 2020 indirizzata al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, al ministro della Salute e al ministro del Lavoro, ha chiesto di prevedere l’esenzione da responsabilità degli amministratori e degli operatori per le attività e le azione poste in essere durante l’emergenza Covid-19, escluse ovviamente le condotte dolose».

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Quali sono le problematiche principali che state affrontando in queste settimane?
«Per capire cosa sta accadendo, dobbiamo spostare lo sguardo indietro e osservare l’evoluzione delle case di riposo. Oggi, a differenza di quello che succedeva 20 o 30 anni fa, sono diventate strutture che ospitano una popolazione molto anziana e di conseguenza molto fragile. Non c’è quasi più una componente alberghiera-abitativa, rivolta a persone anziane, ma in buona salute e con poche necessità assistenziali, che vogliono semplicemente combattere la solitudine. Oggi l’età media degli ospiti della casa di riposo è di circa 78 anni. Si tratta di persone con pluripatologie e dunque molto fragili. Proprio per questo c’è necessità di un supporto non solo di tipo socio-assistenziale, ma anche sanitario. La diffusione del coronavirus nella case di riposo deriva dal fatto che qui si concentrano gruppi numerosi di persone molto anziane, particolarmente esposte e, soprattutto, prive di un sostegno sanitario importante sia in fase di prevenzione che di contenimento. Per molte settimane l’attenzione si è concentrata nel dotare gli ospedali di risorse strumentali ed umane. Mentre solo molto più tardi l’attenzione è rivolta anche alle case di riposo».

E per quanto riguarda le attrezzature e i dispositivi di protezione?
«Uno dei problemi principali di questi giorni è proprio mancanza di dispositivi di protezione individuale, introvabili e mai messi a disposizione dalla Protezione Civile. Sarebbero strumenti necessari per prevenire il rischio da contagio, ma anche per eventualmente gestirlo. Poi, i tamponi difficilissimi da ottenere. Nelle case di riposo lavorano operatori socio-sanitari, ma anche operatori sociali si pensi agli educatori, agli assistenti sociali. Ma ci sono anche cuochi, personale delle pulizie, manutentori. Tutte queste persone dovrebbero essere certe di non aver contratto il virus e di non essere portatori sani. Bisogna poi dire che manca una vera e propria componente sanitaria. Questo perché stiamo pagando una miopia politico-amministrativa che, negli ultimi anni, si è sempre più accentuata. Penso che questo aspetto fondamentale non sia mai stato compreso e valutato dagli organi politici-legislativi della Regione. E’ mancato un reale investimento in questo settore, quindi non c’è stata l’evoluzione di queste strutture verso modelli gestionali finalizzati alla tutela assistenziale, con l’integrazione sanitaria necessaria».

 

 


Ci sono anche anziani che entrano ed escono dall’ospedale, come funziona in questi casi?
«Succede molto spesso. E c’è un problema concreto. Qualsiasi ospite della struttura residenziale per anziani, che abbia avuto necessità di subire ricoveri in ospedale dovrebbe essere riammesso nella casa di riposo solamente dopo essere risultato negativo al Covid-19 ed avere trascorso un periodo di isolamento. Gli ospedali si sono purtroppo dimostrati, in varie realtà italiane e regionali, veri incubatori del virus. Questo invece non succede, e spesso il gestore si sente minacciato di querela per la mancata accettazione sia da parte della famiglia che da parte dell’ospedale che effettua la dimissione».

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