Evasione a Rebibbia, 14 indagati verso rinvio a giudizio: coinvolto anche ex provveditore caso Cucchi

Evasione a Rebibbia, 14 indagati verso rinvio a giudizio: coinvolto anche ex provveditore caso Cucchi
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Lunedì 19 Dicembre 2016, 19:29 - Ultimo aggiornamento: 21 Dicembre, 19:41

ROMA Turni di sorveglianza non rispettati, detenuti a rischio evasione lasciati quasi incustoditi. Ronde abolite, monitor di sicurezza mai controllati. Allarmi lanciati con ritardi incredibili, trasferimenti non regolari e temporanei approvati e diventati definitivi. Le falle nella sicurezza del carcere romano di Rebibbia, che hanno consentito a tre reclusi di fuggire annodando lenzuola e calandosi dal muro di cinta, costano ora a 14 persone l'iscrizione sul registro degli indagati e il rischio di finire sul banco degli imputati. Il procuratore aggiunto Michele Prestipino e la pm Nadia Plastina, hanno inviato un avviso di conclusione delle indagini a tutti quelli che sono sospettati di essere, a vario titolo, i responsabili della clamorosa evasione. E tra questi anche l'ex direttore Mauro Mariani, il dirigente del provveditorato Claudio Marchiandi, già coinvolto (e assolto in appello) nella vicenda della morte di Stefano Cucchi e Massimo Cardilli, capo delle guardie carcerarie all'epoca dell'evasione di tre albanesi, avvenuta il 27 ottobre. La Procura contesta a loro e ad altri 11 agenti un reato chiamato «colpa del custode»: li ritiene responsabili di procurata evasione colposa e violazioni di normative e regolamenti. Avrebbero favorito la fuga di Tesi Basho - che scontava l'ergastolo per omicidio -, Ilir Pere - fine pena tra 25 anni - e Mikel Hasanbelli, condannato per estorsione e sfruttamento della prostituzione. I tre erano rinchiusi nel reparto G9.

LE OMISSIONILa colpa degli indagati consisterebbe nell'aver omesso «le doverose cautele e nella violazione delle norme regolamentari, nonché delle norme generiche di prudenza, la cui osservanza avrebbe impedito o reso più difficoltoso l'allontanamento dei detenuti», si legge nel capo d'imputazione. Soprattutto perché, dopo un'evasione fotocopia avvenuta il 14 febbraio, a Rebibbia le falle nella sicurezza non erano state sanate, nonostante le sollecitazioni della Procura e del Dap. E' tutto scritto in una dettagliata relazione che gli inquirenti hanno inviato al capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e al ministro della Giustizia, per sollecitare provvedimenti. Si parla di «carenze molto rilevanti e diffuse a tutti i livelli», di scambi di informazioni tra detenuti, di coltelli e seghetti nascosti nelle celle. I pm denunciano anche anomalie nelle perquisizioni effettuate del personale «che non ha garantito l'effetto sorpresa».

CATTIVA ORGANIZZAZIONE
Mariani, per i pm, «ometteva di rimediare alle carenze organizzative». Il 28 maggio, con un ordine di servizio «sopprimeva la vigilanza armata», consentendo ai fuggiaschi di allontanarsi con un'azione analoga a quella dei loro predecessori. I tre, che sono ancora latitanti, hanno infatti seguito un tragitto identico a quello dei colleghi evasi prima di loro: si sono arrampicati sulla stessa parte del muro di cinta, dopo aver segato le sbarre della cella. Prima di calarsi di sotto, hanno avuto il tempo di misurare la distanza che li separava dal suolo, utilizzando delle scope. Dalle indagini sono emerse altre anomalie: alcuni detenuti sono stati trovati in possesso di stupefacenti, cellulari, seghetti e coltelli. Cardilli, responsabile dell'area sicurezza, non avrebbe vigilato neppure «sugli spostamenti di cella dei reclusi». Avrebbe anche evitato di effettuare perquisizioni a sorpresa. Marchiandi, dirigente dell'ufficio detenuti al Provveditorato, avrebbe invece disposto il trasferimento di Tesi e Pere da Viterbo. Insieme a Hasanbelli, i due si erano ritrovati a dividere la stessa cella, anche se erano tutti della medesima nazionalità. La cosa grave, è che Tesi capeggiava a Viterbo un gruppo di connazionali, compatto e pericoloso. 

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