I pm che hanno indagato sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra morto quattro anni fa durante il ricovero all'ospedale Pertini di Roma e una settimana dopo il suo arresto per droga hanno proposto appello contro la sentenza con cui la III Corte d'assise nel giugno scorso ha condannato per omicidio colposo (e non per abbandono d'incapace come chiesto) cinque dei sei medici imputati (un sesto medico fu condannato per falso ideologico), e assolto tre infermieri e tre agenti della Polizia penitenziaria.
Nell'atto d'appello (che si aggiunge a quello delle parti civili che, dopo l'accordo ospedale-famiglia per il risarcimento dei danni, hanno contestato solo la sentenza assolutoria per gli agenti) si contesta punto per punto il giudizio di primo grado, chiedendone la totale riforma.
E, «tra le numerose persone escusse in udienza, quelle che riferiscono di avere appreso da Cucchi che erano stati i carabinieri ad averlo percosso sono sempre state smentite o comunque non confermate dai riscontri effettuati. Del resto non risulta nemmeno che gli imputati, agenti della Polizia penitenziaria che avevano preso in consegna dai carabinieri il detenuto, abbiano sentito l'esigenza, per esimersi da eventuali responsabilità, di sottoporre Cucchi a visita medica». La conclusione è la richiesta di condanna anche degli agenti assolti perchè si ritiene «di tutta evidenza la scorrettezza grave che ha caratterizzato l'attività della Polizia penitenziaria nell'esercizio concreto della custodia dell'arrestato».
Le conclusioni in diritto cui è giunta la Corte, che, condividendo la tesi dei periti della morte per inanizione di Cucchi, hanno riqualificato in omicidio colposo il più grave reato di abbandono d'incapace contestato a medici e infermieri del 'Pertinì (per i quali chiedono di ripristinare l'originaria imputazione e condannarli), «non sono condivisibili». Lo scrivono i pm nel loro atto d'appello alla sentenza di primo grado. «La Corte - si legge - ha ritenuto che l'abbandono di persona incapace non si potesse configurare perchè Cucchi non era in stato d'incapacità d'intendere e di volere, e perchè l'elemento soggettivo in capo ai sanitari che lo avevano avuto in cura non era il dolo ma la colpa». Conclusioni «non condivisibili» per i pm, i quali sostengono come «evidente» che Cucchi si trovasse in uno stato d'incapacità di badare a se stesso «per essere costretto a letto dalla malattia (frattura) per la quale aveva un decubito obbligato, e soprattutto per essere detenuto in un reparto di medicina protetta, equiparato ad un carcere, che ne impediva qualsiasi movimento e soprattutto gli impediva di scegliere i medici da cui farsi curare». Il reato di abbandono d'incapace, infine, per i pm deve essere contestato anche agli infermieri, «giacchè gli stessi sono stati inspiegabilmente assolti soltanto sulla base di quanto ritenuto dai periti e cioè che non era nelle loro facoltà di sindacare le iniziative dei medici alle quali risultano essersi attenuti».