Mafia capitale, il patto con la 'ndrangheta. Pignatone: l'inchiesta non finisce qui

Mafia capitale, il patto con la 'ndrangheta. Pignatone: l'inchiesta non finisce qui
di Michele Di Branco
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Venerdì 12 Dicembre 2014, 07:53 - Ultimo aggiornamento: 11:40

Non è che l'inizio. E' un Giuseppe Pignatone particolarmente deciso quello che ieri pomeriggio, accompagnato dal procuratore aggiunto Michele Prestipino, ha spiegato alla commissione parlmentare Antimafia, che l'indagine sulla mafia capitale, coi suoi collegamenti con la politica a tutti i livelli, non è destinata a fermarsi.

Anzi.

Quando qualcuno gli chiede quanti sequestri sono stati eseguiti dalla Guardia di finanza, lui spiega che il totale arriva a 220 milioni di euro: «Ma è una cifra destinata a crescere», chiosa il procuratore. E aggiunge: «Presto ci saranno altre operazioni».

Il fenomeno roman-mafioso è singolare, aggiunge: «A Roma ci sono una serie di investimenti mafiosi, ci sono alcune associazioni di tipo mafioso presenti nel territorio» come Cosa Nostra a Ostia o il clan dei Fasciani già sgominati, «ma oggi abbiamo fatto un passo avanti»: «Non c'è un collegamento con la mafia classica: rispecchia in qualche modo la società romana». È una mafia «originaria e originale», afferma Pignatone.

LA 'NDRANGHETA

Ieri mattina, a questo originale quadretto si è aggiunto forse l'ultimo pezzo mancante. Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, vari precedenti penali pesanti, collegati anche alla cosca Piromalli di Reggio Calabria, ma residenti da tempo nella capitale sono stati arrestati dal Reparto Anticrimine. Sarebbero stati loro a fare da tramite tra Massimo Carminati e Salvatore Buzzi da una parte, e i Mancuso, cosca radicata nel vibonese, dall'altra. I clan si scambiano semplicemente un favore. Buzzi tra il 2008 e il 2009 ha gestito senza problemi il Cara Alemia di Cropani Marina.

E' lui stesso a dire che quell'aiuto era stato prezioso: «Allora io te dico, quando io stavo a Cropani, scendevo er pomeriggio, salivo su la mattina e ripartivo er pomeriggio, parlavo con il prefetto, parlavo con tutti, parlavo con la ndrangheta... parlavo con tutti. E poi risalivo su». I Mancuso, qualche anno dopo, chiedono di ottenere un appalto per la pulizia del mercato rionale dell'Esquilino. E visto che la famiglia calabrese non può apparire direttamente, manda a Roma Giovanni Campennì, giovane imprenditore «pulito nella legge», anche se a curare il contatto sono i due calabresi dipendenti della cooperativa, Rotolo e Ruggiero. «Tu sarai il presidente de questa cooperativa de 'ndranghetisti», dice Buzzi al candidato alla presidenza della nuova cooperativa, Santo Stefano.

E quando il presidente, che di fatto fa il prestanome, osa rimproverare Rotolo urlando «tu sei un soldato, ubbidisci», Buzzi è costretto a redarguirlo: «Quello è un 'ndrangheta affiliato, se tu gli dici sei un mio soldato... lui il generale non ce l'ha qui a Roma, si offende. Non puoi dire al Calabrese affiliato alla 'ndrangheta ”sugnu soldato” è un'offesa gravissima».

LE ARMI SPARITE

Ieri, durante la discussione davanti al tribunale del Riesame sul ricorso di Massimo Carminati, del suo braccio armato Riccardo Brugia e altre quattro persone, i pm romani hanno depositato i verbali di sequestro delle perquisizioni fatte al momento degli arresti. Che indicano le armi trovate ma anche i nascondigli lasciati vuoti. Nell'elenco c'è la katana che Carminati teneva in bella mostra in soggiorno, la stessa con cui, stando ad una intercettazione del commercialista Marco Iannilli avrebbe potuto minacciare Lorenzo Cola se non avesse pagato tutti i suoi debiti. Secondo il pentito Roberto Grilli, che molto ha raccontato dell'organizzazione, «il gruppo facente capo a Carminati - si legge nell'ordinanza di ieri - era un punto di riferimento per l'acquisizione di armi da parte di altri gruppi e organizzazioni criminali».

Uno dei loro, avrebbe spiegato il Nero, riusciva a ”ripulire” l'origine delle armi facendo emettere «false fatture tramite i diretti ”forintori” che si recavano spesso in vacanza a Cortina, dove era possibile ”fare tutte le fatture del mondo”». Eppure, Makarov, Uzi e pistole mancano ancora all'appello degli investigatori: il nascondiglio nella legnaia dietro la casa di Riccardo Brugia, il giorno degli arresti era già completamente vuoto.

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