Coronavirus, la testimonianza: «Un’esperienza come un viaggio all’inferno»

Irene Giangreco Marotta
di Daniela Melone
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 30 Dicembre 2020, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 13:41

RIETI - «Il Covid? Niente a che vedere con una semplice influenza. Gli effetti sono devastanti e si stanno studiando anche i disturbi che si presentano mesi dopo aver contratto la malattia». Irene Giangreco Marotta (nella foto), reatina 47enne, si è ammalata lo scorso 21 novembre. Tutto è cominciato con febbre, affanno e spossatezza. «Oggi finalmente va un po’ meglio - spiega - ma il mio tampone, il quarto, è ancora positivo. Dico grazie ai medici, impagabili, mentre invito a tacere chi ancora nega o minimizza il problema».

Irene è psicoterapeuta e insegnante in una scuola secondaria di secondo grado a Terni. «La mia professione mi ha aiutato a restare concentrata - spiega. - Sono riuscita a non andare nel panico, nonostante il virus che toglie le forze e ti devasta.

Ringrazio anche la famiglia e quelle che io chiamo le mie amiche-sorelle che, seppur da lontano, non mi hanno fatto mai sentire sola».

Massima protezione. Nessuna patologia cronica, non prendeva medicine Irene, che utilizzava protezioni e aveva una vita sociale ridotta al minimo.

«Eppure il virus è arrivato come un fulmine a ciel sereno. Non si ammalano solo i vecchi», ribadisce. Inizialmente voleva evitare il pronto soccorso, poi la situazione è peggiorata e dopo la chiamata al 118 è stata trasferita al de Lellis. «Sono arrivata con 89 di saturazione - racconta - mi hanno fatto immediatamente tutte le analisi e ho avuto l’ossigeno a un livello importante. Ho scoperto l’emogas, una tortura che andava ripetuta più volte al giorno. Sono rimasta al pronto soccorso dal 29 novembre al 4 dicembre, ero terrorizzata al pensiero del casco, che per fortuna non è servito. Da questa esperienza ne esco diversa, più forte. È stato una sorta di viaggio all’inferno. C’era una persona cara nella stanza vicina che è morta. L’ultima sera sono arrivate cinque ambulanze e non c’erano le barelle a disposizione dei pazienti. È morto anche un uomo di 60 anni, titolare di un’autoscuola a Osteria Nuova, che prima di andarsene mi ha fatto promettere che avrei raccontato quanto visto. Nella mia stanza non c’era un campanello per chiamare soccorso. Per andare in bagno ho chiamato il centralino dell’ospedale, per chiedere che qualcuno venisse. Un’altra volta c’era una signora anziana, nella stanza accanto, che chiedeva aiuto. Bussavamo al vetro per chiamare i medici. Nonostante questo non me la prenderò mai con il personale sanitario, da difendere per le condizioni in cui è costretto ad operare. Responsabili sono coloro che, in estate, se la sono presa comoda e hanno rimandato lavori di adeguamento alla situazione che andavano fatti per tempo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA