Rieti, coronavirus. Il vescovo Pompili:
​«Ecco come aiuteremo i più deboli»

Il vescovo ad Amatrice
di Antonio Bianco
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Domenica 19 Aprile 2020, 00:44 - Ultimo aggiornamento: 14:45

RIETI - Coronavirus: l’emergenza pandemia ha messo in difficoltà molte famiglie reatine. La diocesi di Rieti ha deciso di mettere in campo una misura di sostegno in favore degli ultimi, un fondo anticrisi per aiutare coloro che «faticano a camminare».

Vescovo Pompili ci può spiegare meglio in cosa consiste il Fondo Santa Barbara?
«Il fondo è stato istituito dalla diocesi di Rieti con uno stanziamento di 500mila euro, grazie alla donazione dell’8 per mille alla Chiesa cattolica, per far fronte alle situazioni di disoccupazione conseguenti alla crisi covid-19. La direzione è quella di tenere i lavoratori e le loro famiglie al di sopra della soglia di povertà secondo i parametri stabiliti dall’Istat. Indicativamente sono situazioni in cui un nucleo familiare non supera il reddito di 400 euro a persona. A breve sarà disponibile la procedura di accesso, che terrà conto dell’ultimo Isee disponibile».
Quante persone pensate di sostenere?
«Con una media di 400 euro a famiglia, al momento potremmo effettuare 1250 erogazioni totali da suddividere su un periodo di tre mesi per tutti i comuni che fanno parte della diocesi, tuttavia il fondo è aperto al contributo di altri soggetti che potrebbero permetterci di ampliare la platea o allungare il periodo di sostegno oltre la fase iniziale. Nel giro di qualche settimana dovremmo riuscire a erogare le prime tranche».
Un fondo che porta il nome della patrona della città capoluogo.
«Ovviamente, perché si tratta della nostra patrona, una giovane donna coraggiosa e creativa. Due qualità oggi indispensabili per affrontare l’emergenza coronavirus. Il nostro è un tentativo di calmierare gli effetti della crisi offrendo nell’immediato alcuni mesi di accompagnamento per tutte quelle che possono essere delle emergenze: dalle bollette ai beni di prima necessità».
Oltre a questo fondo, come state fronteggiando la crisi?
«Abbiamo distribuito con l’impresa sociale Promis e la Caritas centinaia di pacchi-viveri in tutti i paesi della diocesi e anche in città. Il riferimento è all’area del Turano, ai comuni che si trovano tra Contigliano e il confine con Terni, fino ad arrivare alla zona dell’amatriciano. Quello che percepiamo è una situazione diffusa di difficoltà, che si somma alla condizione di post-terremoto dalla quale in realtà non ci eravamo ancora del tutto ripresi. Quanto successo con il coronavirus è una sorta di pioggia sul bagnato».
Insomma, ritorna il discorso della ricostruzione come volano di sviluppo per questa terra.
«Siccome è opinione comune che il comparto dell’edilizia sia una delle leve per riavviare la macchina dell’economia, credo che noi avremmo la possibilità di un’accelerazione nell’apertura dei cantieri, se le parole del nuovo commissario Giovanni Legnini avranno un seguito. Considerato che alcuni cantieri erano in itinere e moltissimi sono quelli che devono partire, se si riuscisse ad avviarli, riusciremmo a dare una boccata di ossigeno a questa terra».
La sua immagine in solitaria tra le macerie di Amatrice è stata molto forte, la croce sulle spalle ha anche un significato simbolico, oltre che spirituale?
«La solitudine dentro quel contesto drammatico è l’effetto di questa ferita ancora aperta, mai del tutto rimarginata, ma quell’immagine vuole essere anche un modo per tenere accesi i riflettori sulla ricostruzione, un modo per sollecitare i “decisori” a fare la loro parte e mettere in movimento tutto ciò che ci aspettiamo da tempo».
Il virus sta falcidiando soprattutto gli anziani, un vero dramma.
«Se ne sta andando una generazione che tra l’altro era quella che aveva resistito agli effetti della Seconda guerra mondiale, ed avevano prodotto il più grande sforzo nella ricostruzione del prima dopoguerra. Questo pone un dato su cui non dobbiamo transigere, la cura per la salute, che in un recente passato è stata sacrificata ad altri imperativi».

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