Rieti, calo dei fedeli e chiese più vuote anche nel Reatino. L'analisi del vescovo

Messa a Sant'Agostino (Archivio)
di Giacomo Cavoli
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Mercoledì 25 Ottobre 2023, 10:07 - Ultimo aggiornamento: 26 Ottobre, 12:17

RIETI - Chiese sempre più vuote, anche in provincia di Rieti. Numeri specifici per il territorio reatino sul crollo verticale del culto religioso ancora non ne esistono ma prima i dati forniti dall’Istat - che, ad agosto scorso, ha certificato come in vent’anni la pratica religiosa in Italia si sia dimezzata, passando dal 36,4 per cento della popolazione nel 2001 a meno del 19 per cento nel 2022 - e poi quelli raccontati dalla ricerca nazionale che la rivista cattolica “Il Regno” ha affidato al professor Paolo Segatti dell’Università di Milano, disegnano un quadro impietoso. Secondo l’Istat, il calo più netto si è registrato dal 2019 al 2020, con la perdita del quattro per cento delle persone che si recavano a messa: e negli ultimi vent'anni la fetta dei “mai praticanti” è raddoppiata dal 16 per cento del 2001 al 31 per cento del 2022. Secondo l’Università di Milano, invece, a partire dal 2009 chi non crede in Dio è passato dal 26 al 36 per cento, mentre chi afferma di credere è calato al 57 per cento, dal 72 per cento del 2009.

L'analisi del vescovo. Il Messaggero ha chiesto un’analisi dei dati al vescovo Vito Piccinonna: "I numeri dicono molto, ma non tutto - esordisce Piccinonna. - Sicuramente, sia il periodo Covid che le notizie sugli scandali hanno provocato l'allontanamento di tanti e c’è una pratica religiosa che si va numericamente assottigliando: questo interroga anzitutto la Chiesa e le comunità parrocchiali, insieme ai sacerdoti ed ai vari operatori pastorali.

In questo quadro - prosegue Piccinonna - il nord e il centro Italia fanno i conti con una secolarizzazione che pare non perdonare già da tempo e che sembra dirigersi speditamente verso Sud: io provengo dalla Puglia, dove ancora le chiese sono abbastanza piene ma questo non è un motivo per starsene tranquilli lì, né per rassegnarsi qui. Oggi, più che mai, le comunità devono tener conto di un mondo realmente cambiato e reimpostare le cose perché la "proposta" cristiana sia fatta non più alle masse ma quasi da persona a persona, coinvolgendo le famiglie assieme alle nuove generazioni – conclude il vescovo - Per le comunità si impone di ritornare all'essenziale che è il Vangelo, all'impegno di testimonianza concreta lì dove si vive, a cominciare dal proprio posto di lavoro. Non è finito il cristianesimo, ma certamente è terminato un certo modo di vivere alcune forme della cristianità".

Ritorno alla catechesi. Per don Lorenzo Blasetti, parroco di Campoloniano, è necessario il ritorno alla catechesi: "Nel 1971 i vescovi italiani firmarono un documento nel quale si attestava che l’Italia era un Paese da evangelizzare: le persone chiedevano battesimi e comunioni, ma nell’opinione della Chiesa erano praticanti non credenti - racconta don Lorenzo. - All’epoca, però, la Chiesa dominava la scena e le persone venivano legate al mondo cristiano per convenzione ed usanza, ma la loro non era una scelta libera e consapevole. Così, anziché perseguire un serio progetto di evangelizzazione, si è proseguito con un’opera di indottrinamento e adesso che il mondo è cambiato, chi si dice cristiano si accorge di non avere nulla in mano di fronte alle nuove sfide, perché manca una seria catechesi. La Chiesa è come un fiume inquinato, troppa robaccia è entrata dentro e abbiamo creato una religione senza fede – conclude don Lorenzo - Per questo è necessario risalire alla sorgente attraverso la catechesi".

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