Feliciangeli resta il faro
della Npc Rieti: "Non mi pongo
più limiti né obiettivi"

Roberto "Picchio" Feliciangeli
di Emanuele Laurenzi
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Mercoledì 30 Dicembre 2015, 13:07 - Ultimo aggiornamento: 19 Gennaio, 15:14
RIETI - Dall’addio al ritorno è stato un passo. Questione di due parole, una chiacchierata, una promessa da mantenere e un progetto da completare. Tutto per un sogno, quel sogno che era suo e di un’intera città, quella voglia di risorgere ancora una volta, l’ennesima. Anche se sembrava folle, anche se sembrava impossibile. Oggi, col 2015 che se ne va e con un'altra primavera che s’avvicina, lui è ancora lì. Picchio “41 e non sentirli” Feliciangeli porta con orgoglio i galloni di capitano della Rieti della pallacanestro. Che oggi si chiama Npc, ieri si chiamava Nuova Sebastiani e prima ancora Sebastiani. Le ha vissute tutte e tre, lui, saltando la parentesi Virtus, con la quale si scontrò da avversario, e quel sogno rimasto a metà che si chiamava Rbc. Qualche anno fa, quando partì dopo la nottata trionfale di Pesaro e la promozione in serie A conquistata da capitano, lasciò Rieti e molti pensarono al definitivo addio.

E invece, 9 anni dopo, è ancora qui. «Quando me ne andai – racconta – speravo di tornare a casa, ma non mi sarei mai aspettato che sarebbe davvero accaduto e, soprattutto, che sarebbe stato così. Il merito è tutto di Peppe Cattani, che ha creduto in me, che mi ha rivoluto qui e che è ripartito da me nonostante in quel periodo fossi infortunato». Picchio dice casa. Perché Rieti per lui è davvero casa. Di Roma gli è rimasta la carta d’identità e il luogo di nascita. Il resto è reatinità pura la 100%. E’ tornato qui, sembrava avesse chiuso la carriera dopo quella nottata contro Latina due anni fa. E invece è ancora qua. «Ora non mi pongo più limiti né obiettivi – dice – perché un anno e mezzo fa Peppe mi convinse con due parole. Avevamo impostato insieme un progetto che doveva durare 3 anni. Mi ero fermato a due e decisi di completarlo».

Addio all’addio: un gioco di parole che non è il massimo, ma che rende l’idea. E allora di nuovo in campo, di nuovo in pista, per la stagione più importante, l’anno più bello, la cavalcata per la promozione numero 3 con una canotta amarantoceleste messa sulle spalle e la numero due da capitano. Che anno, questo 2015: Forlì e la festa. La sbornia finale, anche se la vera vittoria, alla fine dei conti, è stata un’altra. «Vincere il campionato è stato bellissimo – racconta Feliciangeli – pazzesco perché si è concluso quel progetto voluto da Peppe. Ed è iniziata la terza era del basket targato Cattani. Chiudiamo un anno bellissimo, carico di emozioni. La vittoria in finale, Forlì e quella festa sono state la ciliegina sulla torta. Ma la gara top, per me, è stata un’altra. Il momento in cui ho sentito davvero la squadra, quello in cui ho capito che avremmo vinto, è stato un altro. La sera della semifinale vinta a Montegranaro abbiamo raggiunto il massimo. Lì ho capito che avremmo fatto l’impresa. E’ stata un’emozione fortissima e credo che quella sia stata la vera finale del nostro girone. Senza nulla togliere a Palestrina ed Eurobasket. Ci siamo tolti un grande peso, anche per ciò che rappresentava Montegranaro nella storia cestistica di questa città. Io ero l’unico in campo ad aver vissuto ciò che era accaduto negli anni passati, ma i cori, i tifosi, tutto quello che c’era in quei giorni lo hanno avvertito anche gli altri ragazzi».

Di smettere, a quel punto, neanche a pensarci. Perché con quella festa e quella medaglie da neo promosso messa al collo, il ruolo di capitano ad attenderlo, una città che lo voleva in campo, Picchio Feliciangeli non poteva certo lasciare. E giù, di nuovo in campo, di nuovo a dare l’esempio, di nuovo a combattere nell’arena del PalaSojourner. «Sono felicissimo per quel che ho dato – confessa – e per quel che riesco a dare. Quest’anno in campo ho notato che c’è maggior fisicità rispetto allo scorso anno e, per certi versi, il mio apporto è ridotto. Certo, in attacco magari fatico di più scontrandomi con certe difese, ma dall’altra parte del campo anche con l’esperienza ancora mi faccio valere. Insomma, per dirla con una battuta, non credo di essere “fracico”. Poi c’è il mio ruolo fuori dal campo, che mi rende molto orgoglioso. Quello che mi è stato chiesto da Peppe e da coach Nunzi, ovvero di creare il feeling nello spogliatoio, di rapportarmi con la città e con i tifosi. E questo per me, ora, è il massimo».

Dici Feliciangeli, dici Npc e dici gruppo. Inutile negarlo, la forza di questa squadra, quello che l’ha portata a fare più di un mezzo miracolo in avvio di campionato sta proprio nell’unione. «Prima buone teste, poi buone mani. E’ questo il principio usato nella composizione di questa squadra. E si vede. La forza di questo gruppo è quell’elemento che ci ha consentito di non esaltarci nel momento top e di non deprimerci quando le cose non sono andate bene. Dopo una sconfitta, il martedì si torna agli allenamenti e si pensa solo alla prossima gara».

Dal Paradiso all’Inferno è un giro di palla, soprattutto a Rieti. Un canestro che non va, una gara che sbagli e ti ritrovi anche una città addosso. Eppure in un bilancio globale del 2015 e di questo primo scorcio di campionato di A2 il bicchiere sembra sempre mezzo pieno. «La prima parte dell’anno è stata eccezionale – dice Feliciangeli – e la prima parte del campionato è stata oltre ogni aspettativa. Molti ci consideravano una squadra mediocre e, forse, nell’ultimo periodo, sono emersi alcuni limiti. Non sono vere lacune, ma sono aspetti che si possono sistemare. Col passare delle gare gli avversari ci hanno scoutizzato e hanno trovato il modo di metterci in crisi, puntando soprattutto sulla nostra panchina corta. Se guardo all’inizio, però, avrei firmato per essere dove siamo oggi».

Dodici punti in classifica, la possibilità di chiudere il girone d’andata a 14. Il che vuole dire una prospettiva di 28 a fine torneo. Il che vuol dire uno “strapuntino” per i play off. Un sogno per un 2016 migliore di questo 2015? «Questa è una squadra che non si accontenta mai – conclude Feliciangeli – e credo lo abbiano capito tutti. La salvezza era l’obiettivo, ma per questi giocatori solo la salvezza può essere una magra consolazione. Abbiamo capito i nostri errori, abbiamo capito che se siamo più concentrati vinciamo. Se riusciremo ad evitare certi cali, potremo continuare a sognare».
 
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