Caso petrolio/Quell’ideologia anti-ripresa

di Marco Fortis
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Mercoledì 6 Aprile 2016, 00:18
Sul caso del petrolio in Basilicata la magistratura sta seguendo il suo corso. Quando c’è corruzione e malaffare o quando non si rispettano le leggi, il minimo che i cittadini si possano attendere è che la giustizia faccia il suo corso e sanzioni severamente i colpevoli. Ciò è quanto è lecito attendersi in ogni Paese civile. In Italia, tuttavia, ogni qualvolta si verificano episodi di questo tipo vi è una tendenza, molto più spiccata che altrove, a trasformarli in eventi che si spingono ben al di là delle normali questioni di giustizia civile e penale. E non ci riferiamo solo ai “casi politici” che ne conseguono, su cui qui non ci soffermiamo.

Ci riferiamo invece ad una tendenza strisciante, in parte alimentata dalla stessa bagarre politica e mediatica, sempre pronta a mettere sotto accusa o come minimo sotto una luce negativa tutto ciò che circonda l’attività di impresa. Cioè riaffiora, ad ondate, quella ideologia anti-impresa o anti-industriale che scorre sotterranea nel nostro Paese: una ideologia davvero poco comprensibile, considerando che siamo la seconda potenza industriale d’Europa dopo la Germania e che gran parte del benessere che abbiamo raggiunto lo dobbiamo proprio al fatto di essere diventati una grande nazione manifatturiera, come dimostra il quinto surplus commerciale con l’estero al mondo dell’Italia nei manufatti, pari a 94 miliardi di euro nel 2015. Inoltre, nell’immaginario collettivo tipicamente italiano che più coltiva sentimenti anti-industriali, il tipo di impresa peggiore, quella, cioè, che si comporterebbe in modo più “spregiudicato” e che ci “sottrarrebbe” risorse, o verso la quale i nostri governi sarebbero sistematicamente più “succubi”, è la multinazionale straniera.
 
Si tratta di un atteggiamento sbagliato che trae principalmente origine da una scarsa informazione o, peggio, da pregiudizi. A ciò cerca di ovviare da qualche anno la costruzione a livello nazionale ed europeo di indicatori statistici che misurano la dimensione della presenza delle imprese estere nei vari Paesi. In un comunicato dello scorso 15 dicembre, ad esempio, l’Istat ricorda che nel 2013, ultimo anno della rilevazione, risultavano attive in Italia 13.165 imprese a controllo estero, con quasi 1,2 milioni di addetti. Al netto delle attività finanziarie e assicurative, nel 2013 le multinazionali estere hanno realizzato in Italia un fatturato di circa 493 miliardi di euro, un valore aggiunto di oltre 92 miliardi di euro e oltre 11 miliardi di investimenti. Di particolare rilevanza è, poi, l’apporto del capitale estero alla spesa delle imprese per ricerca e sviluppo (23,3%) e all’export (26,2%). L’Unione europea è l’area da cui proviene la quota più ampia di investitori esteri in Italia, in termini sia di imprese (61,0%) sia di fatturato (56,1%) e valore aggiunto (57,6%).

Gli Stati Uniti sono invece il singolo Paese con il più elevato numero di imprese e addetti a controllo estero in Italia (2.172 imprese con oltre 263 mila addetti) e conservano questo primato sia nell’industria sia nei servizi. La Francia è in seconda posizione nell’industria (584 imprese e quasi 68 mila addetti) mentre la Germania è al secondo posto nei servizi (1.347 imprese e quasi 111 mila addetti). Nel settore aggregato dell’energia (estrazione mineraria, raffinazione petrolifera, produzione e distribuzione di energia elettrica e gas), di cui molto si parla in queste ore, relativamente alle inchieste in corso, con enfasi sensazionalistica e notevole approssimazione, le multinazionali straniere occupano in Italia circa 15mila addetti.

La presenza delle multinazionali estere nel nostro Paese è importante anche per la qualità dei posti di lavoro creati e per gli scambi di tecnologie. In particolare, l’indagine dell’Istat rileva che il 42,9% delle grandi e medie imprese industriali e il 35,8% di quelle dei servizi a controllo estero dichiara di beneficiare di trasferimenti di conoscenze scientifiche e tecnologiche dall’estero per il tramite del gruppo di appartenenza.
Altro aspetto cruciale è il contributo del capitale straniero all’export italiano. Secondo l’Istat è particolarmente rilevante l’incidenza delle multinazionali estere nelle esportazioni nazionali nella fabbricazione di prodotti farmaceutici (77,5%), nell’estrazione di minerali da cave e miniere (67,8%) e nella fabbricazione di coke e prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio (52,2%). Sono gli investimenti delle multinazionali straniere, non qualche regalo piovuto dal cielo, che in questi ultimi anni hanno economicamente trasformato diverse province italiane in autentiche protagoniste mondiali della manifattura farmaceutica. Un boom che ha permesso all’Italia di accrescere il suo export di farmaci confezionati e vaccini di oltre 8 miliardi di dollari dal 2010 al 2014: il più forte incremento in valore assoluto al mondo. E i prodotti farmaceutici sono oggi la principale voce di esportazione delle province di Latina, Frosinone, Ascoli Piceno, Bari, Pavia, Rieti, L’Aquila; la seconda voce di export di Roma, Siena, Napoli e Catania, la quinta voce di Milano.

D’altra parte, non è che noi italiani, come vorrebbe far credere un’altra leggenda metropolitana, siamo economicamente “colonizzati” dagli stranieri. Infatti, sempre nel 2013, l’Istat rileva che le imprese multinazionali italiane hanno fatturato all’estero 542 miliardi di euro, occupando 1,8 milioni di addetti. Il flusso di investimenti, in Italia e dall’Italia, è dunque nei due sensi. Casomai come italiani dovremmo essere “colonizzati” di più, cioè attrarre più investimenti, non ostacolarli.

In conclusione: i singoli casi di corruzione, malaffare, inquinamento vanno perseguiti con fermezza. Ma attenzione a quelle ideologie che spingono a pensare che fare impresa o lobby (di impresa o di settore) sia sempre “peccato”. O che lo sia anche il solo semplice dialogo tra Governo e imprese per creare sviluppo. Ma, soprattutto, attenzione a non bloccare attraverso la burocrazia, l’inefficienza, i ritardi autorizzativi e l’incertezza del diritto quell’importante flusso di investimenti stranieri in Italia che sta portando nel nostro Paese non soltanto più addetti e fatturato ma anche più innovazione e qualificazione professionale. L’Italia sta risalendo faticosamente la crisi economica più grave dal Dopoguerra grazie alle imprese: private e pubbliche, italiane e straniere. Stiamo attenti a non farci del male da soli.
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