Commesse militari/Quell’asse speciale che può aiutare le nostre aziende

di Gianandrea Gaiani
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Martedì 31 Luglio 2018, 00:16
L’iniziativa del governo con la Ue, tesa a modificare le politiche comunitarie e dare risalto agli interessi nazionali, ha dato slancio alle relazioni con gli Usa. 

Uno slancio che attribuisce a Roma un maggior peso strategico. Prima dell’incontro di ieri Trump aveva accolto calorosamente l’insediamento di Giuseppe Conte in occasione del G7 in Canada e, in modo ancor più evidente, al summit Nato di Bruxelles dove il presidente Usa ha redarguito molti alleati europei ancora lontani dal dedicare il 2% del Pil alle spese militari. Non l’Italia però, che pure spende realmente per la Difesa appena l’1%, davanti solo a Spagna e Lussemburgo.

Nel disegno di Trump un’Italia forte può indebolire la Germania e l’egemonia franco-tedesca ostacolando l’affermarsi di uno strumento politico-militare Ue, visto come potenzialmente alternativo alla Nato e alla dipendenza strategica dagli Usa. L’Italia può fungere da “facilitatore” tra Trump e l’Europa a trazione tedesca ma per gli Usa è l’erede naturale di Londra (che fino al Brexit ha sempre ostacolato i progetti di difesa europea) abbinando peso politico-economico alla posizione strategica in un Mediterraneo sempre più instabile. Le convergenze tra Roma e Washington aprono quindi nuove prospettive per gli interessi italiani, nel Mediterraneo e innanzitutto in Libia dove Roma deve far fronte a sfide complesse e alla “concorrenza” francese. Il governo Gentiloni aveva già varato una revisione delle missioni oltremare con il ridimensionamento delle forze in Iraq (la guerra all’Isis è conclusa) e Afghanistan e l’invio di contingenti in Libia, Tunisia e Niger, paese del Sahel dove “l’ostruzionismo” di Parigi sta impedendo da mesi l’avvio della missione italiana: programma che il governo sembra voler mantenere in piena continuità con quello precedente.

L’intesa Italia-Usa (ribadita dalla visita a Roma del consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton) sembra poter sfumare i potenziali attriti legati alle ridotte spese militari italiane, al taglio delle truppe in Afghanistan e alla commessa dei cacciabombardieri F-35. Da un lato le pressioni di Washington per l’aumento delle spese militari (iniziate già con Obama e che Conte ieri ha detto di condividere) puntano a favorire l’acquisto di armi americane da parte degli alleati e, in prospettiva, il progressivo disimpegno delle forze Usa in Europa. Dall’altro 200 militari italiani in meno (sostituiti da altri contingenti Nato) su 900 non renderanno più critica la situazione in Afghanistan, da cui lo stesso Trump ha più volte auspicato il ritiro delle forze Usa. Più complesso il dossier F-35 che vede l’Italia impegnata ad acquisire 90 velivoli, un sesto dei quali consegnati o ordinati mentre il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha confermato l’acquisizione in tempi più lunghi già varata da Roberta Pinotti e una rivalutazione del programma che potrebbe non escludere tagli.

L’aereo ha ancora molti problemi da risolvere e non è chiaro quanto ci costerà acquisirlo e mantenerlo operativo. Di certo troppo per i magri bilanci italiani, striminziti soprattutto nei fondi per la gestione dello strumento militare. Quindici F-35B sono indispensabili alla Marina per equipaggiare la portaerei Cavour ma almeno una parte dei velivoli destinati all’Aeronautica potrebbe venire in futuro tagliata senza doverlo necessariamente annunciare oggi. Del resto anche Washington e Londra stanno valutando tagli alle flotte di F-35 mentre le ricadute occupazionali e industriali in Italia non hanno mantenuto le aspettative. Conte ha avuto ieri l’occasione per premere affinchè all’acquisto degli F-35 corrisponda l’adozione da parte del Pentagono dei gioielli del made in Italy in gara negli Usa: fregate lanciamissili Fremm di Fincantieri, aerei da addestramento M-346 ed elicotteri AW139 di Leonardo. Roma ha la necessità di investire risorse in nuovi programmi, come il caccia britannico di 6a generazione Tempest che già coinvolge gli stabilimenti di Leonardo in Regno Unito.

Estromessa dallo sviluppo del futuro caccia franco-tedesco, l’Italia non può perdere “il treno” strategico e industriale del Tempest. Per favorire i prodotti nazionali sarebbe utile rimpiazzare i vecchi jet Amx dell’Aeronautica col caccia leggero M-346FA, versione combat dell’addestratore Master, meno pretenzioso ma molto meno costoso dell’F-35. Al tempo stesso il consolidato coinvolgimento della nostra industria in partnership europee potrebbe indurre ad affiancare i tedeschi nello sviluppo della nuova versione del cacciabombardiere Typhoon con cui Berlino (che non comprerà gli F-35) intende rimpiazzare i Tornado e che potrebbe garantire ottimi margini all’industria italiana anche in termini di ulteriore export del velivolo europeo.

Incassare i dividendi della ”relazione speciale” con gli Usa e rilanciare il ruolo di Roma nel Mediterraneo mantenendo l’industria della difesa ancorata alle partnership europee sono le sfide strategiche complesse che il governo Conte deve affrontare.
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