Quei sindacati senza regole nel Calvario della Capitale

di Oscar Giannino
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Venerdì 15 Maggio 2015, 22:22 - Ultimo aggiornamento: 16 Maggio, 00:27
Ieri, altro venerdì di passione nel trasporto pubblico locale, a Roma e molte altre città italiane. Lo sciopero indetto da un sindacato minore, l’Usb, a Roma ha prodotto il fermo di due delle tre linee della metropolitana e una forte riduzione delle corse degli autobus. A Milano lo sciopero non si è tenuto, perché il prefetto ha precettato considerando la concomitanza dell’Expo. A Torino, per via dell’esposizione della Sindone, è rimbalzato al 24 maggio.

Ma lo stillicidio di scioperi nel trasporto ripropone ormai in maniera non rinviabile una questione che già abbiamo sollevato il 17 aprile scorso, quando l’ira dei passeggeri romani esplose, e dovettero intervenire le forze dell’ordine. Occorre una nuova legge sul diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali. Il ministro Delrio, proprio intervistato dal Messaggero, disse che il governo ci stava pensando. Bene, ora è il momento di passare dalla riflessione ai fatti. Quel che non si può credere, è che i limiti a scioperi proclamati a raffica da sigle sindacali di bassa e bassissima rappresentatività possano essere identificati solo se in una grande città si tiene l’Expo, l’ostensione della Sindone, o prossimamente a Roma il Giubileo. Liberiamoci da questa ipocrisia. Il diritto dei cittadini, dei lavoratori e dei turisti va meglio salvaguardato sempre, perché oggi e da anni non lo è, rispetto alla tutela che va garantita al diritto di sciopero. Anzi, diciamola tutta: Roma non ha proprio bisogno del Giubileo, per essere salvaguardata meglio ogni giorno.



Il peso che porta per le mille manifestazioni annuali che si tengono a Roma perché è la Capitale, l’afflusso costante per la presenza del Vaticano e del papa, tutto ciò basta e avanza perché a Roma – ma vale per tutta Italia – una normativa più equilibrata tuteli meglio la continuità e regolarità del servizio pubblico. Abbiamo già spiegato ai nostri lettori che in materia di sciopero nei servizi pubblici essenziali abbiamo una legge di fine anni Novanta, emendata successivamente, che insieme agli accordi tra sindacati e imprese di trasporto fissa dei limiti sulle fasce di garanzia da offrire al pubblico, sui tempi minimi di preavviso, e sulle procedure di “raffreddamento” conciliativo delle vertenze. In Italia, per via di quella legge, non sarebbero possibili gli scioperi a oltranza del settore pubblico che avvengono annualmente in Francia, o quello di sette giorni che ha bloccato le ferrovie la settimana scorsa in Germania.



Però quella legge, e gli accordi bilaterali tra sindacati e imprese di trasporto, nulla dicono della rappresentanza minima dei sindacati e-o della necessità di far votare preventivamente i lavoratori, superando nel referendum una certa soglia di consenso, per poter indire uno sciopero. È questo il punto più delicato che occorre finalmente affrontare. Sappiamo bene che il governo ha in corso con i sindacati uno scontro diretto su molti temi, a cominciare dalla scuola. Ma non è una buona ragione per non mettere mano a quest’altra questione fondamentale: quali nuove regole porre, perché ogni venerdì di ogni settimana un sindacato minore non firmatario degli accordi con le aziende non s’inventi uno sciopero dei trasporti?



Offriamo qualche spunto di riflessione. L’industria privata, insieme a Cgil, Cisl e Uil, hanno firmato a gennaio 2014, dopo 3 anni di confronto, un protocollo interconfederale che fissa con precisione le soglie sopra le quali ci si siede ai tavoli contrattuali nazionali e aziendali, si firmano accordi che a quel punto sono validi ed esigibili erga omnes, e si ha diritto a godere dei diritti sindacali. È un meccanismo di cui siamo – a un anno di distanza – all’inizio della fase attuativa, perché spetta all’Inps procedere alla verifica della rappresentanza sindacale, controllando sia gli iscritti dichiarati sia i voti raccolti nelle rappresentanze unitarie aziendali, votate dai lavoratori. Si prevede che gli accordi siano validi a seconda che siano approvati dalle rappresentante aziendali dove sono solo i delegati sindacali, e dove a quel punto basta la maggioranza delle sigle più rappresentative, o se invece approvati dalle Rsu serve anche la maggioranza dei voti dei lavoratori.



Sono regole che varranno solo in una parte, sia pur molto importante, dell’economia privata italiana. Ma sono da estendere al pubblico. Anche perché le municipalizzate come l’Atac a Roma o l’Atm a Milano hanno contratti “privati”, non pubblici. Per capirci: l’Usb non si riconosce né nelle intese firmate da Cgil, Cisl e Uil con l’Atac a Roma, né analogamente in quelle sottoscritte con Atm a Milano. Ma se valessero nel trasporto locale le regole di rappresentanza accettate dal sindacato nell’industria, le intese sarebbero pienamente valide ed esigibili senza che sigle minoritarie non firmatarie potessero disconoscerle.



Cosa ancor più delicata è fissare delle soglie certe di rappresentanza sindacale non per siglare intese e contratti, ma per indire scioperi. Mentre la materia contrattuale vede in campo la tutela dei lavoratori e quella delle aziende, nel caso degli scioperi va tutelato anche l’interesse pubblico, quello dei passeggeri nel trasporto pubblico, e degli utenti in generale nei servizi pubblici essenziali. In questo caso, il governo dovrà riflettere attentamente. Non solo per evitare nuovi scontri con il sindacato.

La giurisprudenza della Corte costituzionale è unanime, nel ritenere il diritto di sciopero come prerogativa del singolo lavoratore, non devoluta alla mera decisione della rappresentanza sindacale. Ci sono stati casi in passato di scioperi promossi dal basso attraverso sms nei confronti dei quali ogni intervento di precetto risultò impossibile, proprio perché la giurisprudenza riconosce che l’esercizio della tutela costituzionale dello sciopero si intesta a ogni singolo lavoratore.



Veda dunque il governo, quale soglia minima di rappresentanza sindacale è necessaria per indire uno sciopero nei trasporti pubblici. Ma dovrà pressoché obbligatoriamente prevedere che siano gli stessi lavoratori, a pronunciarsi preventivamente. Sappiamo di dire una cosa che ai sindacati non piace, ma nel trasporto pubblico occorrerebbe per noi più del 50% dei voti, visti i danni che s’infliggono ai cittadini, e all’economia dell’intero Paese.

Non vogliamo illuderci. Può essere benissimo che il governo scelga soglie più basse. Ma il punto di fondo è un altro. Regole nuove servono. Questo capitolo va aperto. Basta con la guerra tra sigle sindacali – questo sono, gli scioperi delle piccole sigle contro le grandi, per mostrare di aver più seguito – combattute ai danni di Roma e dell’intera comunità nazionale.