Angelo De Mattia
Angelo De Mattia

Poltrone e sedi/ Lo squilibrio nei vertici Ue che occorre bilanciare

di Angelo De Mattia
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Martedì 23 Maggio 2023, 01:09 - Ultimo aggiornamento: 23:14

Non è indice di una politica che un tempo si sarebbe chiamata “entrista” sollevare il problema della presenza di manager italiani in posizione di comando nelle istituzioni dell’Unione Europea.  Ciò a maggior ragione in occasione del bilancio che dei primi 25 anni dell’Unione bisognerà pur fare con riferimento alle scelte fin qui adottate; ma anche con riguardo al funzionamento delle diverse istituzioni, visto che alla definizione dei contenuti contribuiscono non poco le rappresentanze dei singoli partner, alcune delle quali in questi anni si sono rivelate particolarmente agguerrite e insediate in centri decisionali nevralgici. 


Sia chiaro: chi opera ai vertici delle istituzioni europee rappresenta l’Unione e l’Eurozona, non i Paesi di provenienza. Ma se non si vuole cedere al fariseismo, bisogna avere il coraggio di ammettere che le presenze negli organismi europei vengono decise in base a ponderazioni che, con particolare riferimento al comparto del credito e della finanza, sono oggettivamente squilibrate. Basti dire che con quest’anno termina il mandato dell’italiano Andrea Enria alla guida della Vigilanza bancaria Bce. Ebbene, la conseguenza è che all’apice di tutte le istituzioni comunitarie di supervisione finanziaria - l’Eba (che ha competenza sulle regole per le banche), l’Esma (controllo dei mercati), l’Eiopa (vigilanza sulle assicurazioni) oltre, appunto,  alla Vigilanza Bce - non vi sarà alcun italiano, nel presupposto che sarebbe difficile far succedere a un italiano un altro italiano.


Nel prossimo anno si porrà altresì l’esigenza di rinnovare la carica di presidente della Bei, la Banca europea degli investimenti, al cui sviluppo gli italiani hanno dato nel tempo un importante contributo: si pensi solo a Dario Scannapieco, ora amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, per lungo tempo vicepresidente dell’istituto.  Dato questo panorama e considerato che nei fatti non abbiamo neppure conseguito, come sembrava ormai assicurato, l’insediamento in Italia del Tribunale unico dei brevetti, ma solo una sede distaccata della Divisione centrale, il tema del riequilibrio delle presenze istituzionali europee ha un preciso fondamento.  Siamo lontanissimi dall’epoca in cui un alto esponente politico italiano lasciava la presidenza della Commissione europea per candidarsi, in Italia, alle elezioni politiche.


Riuscirà il governo Meloni a meglio posizionare la rappresentanza italiana? Certamente molto dipenderà dall’esito delle elezioni per l’Europarlamento del prossimo anno.

Ma sin d’ora occorre agire con determinazione e la ricorrenza del compimento dei 25 anni potrebbe essere l’occasione per pretendere l’avvio del necessario bilanciamento. Che potrebbe cominciare con l’insediamento in Italia dell’Amla, l’Autorità europea antiriciclaggio che già il nostro Paese era candidato a ricevere, peraltro con ottimi titoli: dagli sviluppi della legislazione, all’assetto istituzionale, all’esercizio dei controlli in materia, alla solidità dei progressi dell’elaborazione giuridica e finanziaria. Un insieme di requisiti che palesemente assegna la precedenza all’Italia, rispetto ad altri Paesi, in una valutazione per merito comparativo. 


L’Amla dovrebbe perciò avere sede a Roma e sarebbe bene che, piuttosto che dividerci con proposte alternative, tutti si sostenesse la scelta della Capitale, per l’unicità del contesto istituzionale che offre e per le relazioni e i raccordi necessari di cui dispone in un settore che vede impegnate autorità diverse, da quelle amministrative a quelle di polizia. Una compensazione? Per nulla, sarebbe l’inizio di un percorso più equilibrato nella distribuzione degli incarichi ai vertici dell’Unione, peraltro doveroso di fronte all’eventualità che, allorché nel 2027 scadrà il mandato di Christine Lagarde alla guida della Bce, a succederle possa essere chiamato il tedesco Joachim Nagel, ora presidente della Bundesbank, dimenticando l’intesa Mitterand-Kohl secondo la quale l’Eurotower avrebbe avuto sede in Germania, ma mai un tedesco ne sarebbe diventato presidente.
Tutto ciò premesso, non è infondata l’idea che tale squilibrio sia tra le ragioni per cui continua a rimanere in mezzo al guado, a circa dieci anni dal lancio, il progetto di Unione Bancaria, così impedendo che venga valorizzato il principio di sussidiarietà tanto invocato a favore dei singoli Stati: è sicuramente questione di contenuti, ma poi anche di uomini e di proiezioni nazionali.
 

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