I caschi blu dell’arte per salvare la Capitale

di Giuliano da Empoli
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Venerdì 20 Febbraio 2015, 23:42 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 00:14
A volte si ha la sensazione che i caschi blu servirebbero anche da noi, oltre che in Libia. A Piazza di Spagna, a Campo de’ Fiori e negli altri luoghi che le nostre forze dell’ordine non sono riuscite a preservare dall’assalto degli hooligans olandesi. Indignarsi per gli eventi di questi giorni non basta.

È naturale che il sindaco Marino se la prenda con le mancanze della polizia, ma la verità è che a Roma il degrado è la norma, non l’eccezione. Lo sa bene chiunque, attraversando ogni giorno alcuni tra gli spazi pubblici più belli del mondo, è costretto a farsi largo tra teloni e bancarelle abusive, sperando di sfuggire all’assalto di venditori improvvisati e gladiatori di plastica. Se la soglia di tolleranza nei confronti dell’illegalità è già così alta in circostanze normali, non c’è da stupirsi che la situazione sfugga completamente di mano nelle occasioni eccezionali, com’è accaduto nei giorni scorsi.

Negli Stati Uniti parlano di “broken windows theory” (la teoria delle finestre rotte). La teoria è che il degrado, nelle città, inizi da una finestra rotta. Se non viene subito riparata, dopo un po’ se ne rompe un’altra, poi un’altra e nel giro di qualche tempo un intero quartiere è in preda alla violenza. A Roma la situazione è aggravata dal fatto che a rischio c’è il lascito inestimabile di oltre due millenni di storia. Si parla tanto di innovazione, di start-up e compagnia bella.



Ma si dimentica che l'Italia è, prima di tutto il luogo che ha inventato la conservazione. E, per una volta, non si tratta di un primato negativo. Al contrario, siamo stati noi i primi al mondo a tutelare il patrimonio storico-artistico con apposite leggi e decreti che risalgono agli anni del Rinascimento. Dovremmo essere un po’ più coraggiosi nel difenderlo, questo primato.



Per esempio, attraverso una gestione più rigorosa dei nostri spazi pubblici, che dovrebbero essere il luogo della bellezza, non quello dell’abuso e della violenza. Per esempio, dando un po’ più di spazio alle manutenzioni, a scapito delle inaugurazioni, antico flagello italico che già lamentava Leo Longanesi. Per esempio, andando un po’ più fieri del nostro modello e proponendolo al mondo con il giusto orgoglio, anziché cadere nel provincialismo dei Very bello e dei RoMe&You.



Dicevo in apertura che ci vorrebbero i caschi blu dell’Onu. Ma la verità è un’altra. I caschi blu della cultura, in patria e nel resto del mondo, dovremmo essere noi italiani.