Rai, la sfida Conte-Di Maio. «Basta con i tradimenti»

I fedelissimi dell’avvocato all’attacco: Luigi ci ha spiazzati sulla Maggioni al Tg1

Rai, la sfida Conte-Di Maio «Basta con i tradimenti»
di Mario Ajello
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Giovedì 18 Novembre 2021, 22:52 - Ultimo aggiornamento: 20 Novembre, 14:04

È una regola fissa della politica: l’Aventino fallisce sempre. Ma stavolta, è fallito a tempo di record. L’astinenza dalla tivvù di Stato annunciata da Conte, nel pieno della furia per le nomine Rai e per la capacità degli altri di lottizzare meglio di lui, è durata appena una notte. Perché ieri, nell’edizione delle 13 del Tg2 non compare proprio Giuseppi ma quasi: il suo «ventriloquo», così lo chiamano in M5S, Mario Turco intervistato dalla Rai («Ma era solo una vecchia registrazione», si difende lui) che l’ex premier detesta e vorrebbe abbandonare ma evidentemente non ci riesce. E dev’essersi già pentito per aver emanato un editto che peones e big grillini (ognuno di loro nel “movimento 5 strenne” ha un libro appena uscito e da lanciare per i regali di Natale, da Di Maio a Toninelli, da Spadafora alla Azzolina) già dicono di non voler rispettare. C’è chi ironizza: vedremo allora Giuseppe in tivvù ma imbavagliato contro la partitocrazia, di cui fa parte, a imitazione tarocca del Marco Pannella d’antan? 

I SINGHIOZZI

C’è chi ride, e sono i più, per lo sciopero anti-televisivo indetto dall’avvocato. Mentre tutti più o meno si preoccupano della questione più seria, ed esplosa nella partita sui direttori dei tiggì. Ovvero quella del dualismo Conte-Di Maio, di questa coppia che scoppia nella quale «mentre noi - dicono i contiani di stretta osservanza - trattavamo per salvare Carboni e per frenare la lottizzazione, Di Maio era già d’accordo con Draghi e con gli altri per la Maggioni al Tg1 isolando noi e sbugiardandoci».

Ecco, si chiede adesso al ministro degli Esteri, dal versante Conte, la prova di fedeltà: «Luigi deve smetterla di lanciare il sasso e nascondere la mano. Deve dirci se sta con noi o contro di noi. Basta tradimenti». Ma Di Maio minimizza e si difende: «Premetto che in questi giorni ero all’estero. E comunque non c’entro niente con le nomine. Mi viene attribuito il potere che non ho. Sono solo girate veline sul mio conto, e questo fa male al movimento». Dunque il ministro rispetterà la dieta televisiva imposta dall’avvocato? «Per il mio libro ho già girato in tutte le trasmissioni Rai, quindi ora tocca Mediaset e a La7». 

Si sottrae alla rappresentazione dello scontro Di Maio. Ma il dualismo - è più Conte che teme Di Maio che viceversa anche perché Luigi ripete sempre di non voler «indossare di nuovo la cravatta» da capo politico M5S - sta nei fatti. Il ministro è attestato sulla linea dell’io lavoro sempre per il movimento e proprio per questo decine di parlamentari si rivolgono a lui preoccupati: «Luigi dove si sta andando? Che coda dobbiamo fare?». Lamentano che Conte non ha una strategia e che M5S è priva ormai di identità. Accusano il presidente stellato di essere troppo schiacciato sul Pd (contro il quale adesso però Giuseppe medita vendetta per essere stato tradito sulla Rai), di flirtare con Berlusconi, di non saper maneggiare la partite in corso a cominciare da quella sul Colle. Di Maio cerca di tranquillizzare le anime in pena e di spargere serenità: «Restiamo uniti». Anche se i primi ad essere disuniti sono proprio i 5 vicepresidenti di Conte: rivalità tra Ricciardi e Gubitosa (su chi comanda sui deputati), rivalità al femminile tra Taverna e Todde e via così. E Conte è infastidito per la rissa nel pollaio dei vicepresidenti. Ma niente in confronto alla sfida di Conte contro Di Maio che fa contrappunto al silenzio di Grillo che in nessun modo e in nessuna partita offre qualche forma di sostegno all’avvocato. 

ELEVATO SILENZIO

Da garante tace e osserva l’Elevato. Mentre la «marginalità decisionale» di M5S modello Conte è il sottotesto di ogni singhiozzo dei grillini. I quali in queste ore un po’ stanno con Conte (non più di una quarantina), un po’ si rivolgono in cerca di conforto da Di Maio e per lo più stanno a vedere volteggiando in un limbo. Da cui vedono l’avvocato che nella partita Rai è riuscito nel capolavoro dell’autolesionismo di rompere con Draghi (a proposito del quale ha detto ieri sera a La7: «Non so se si sia occupato di nomine, io quando ero a Palazzo Chigi non lo facevo»), di dividersi rispetto a Di Maio, di prendersela con Letta e di isolarsi rispetto a tutto e a tutti mentre Di Maio ha rapporti trasversali, da Casini a Giorgetti, ha guidato la trattativa per l’ingresso M5S nei Socialisti europei («Ma a dare l’annuncio sarò io!», ha detto l’ex premier sentitosi scavalcato), in vista del match quirinalizio il leader del primo partito in Parlamento non sembra affatto quello che guiderà i giochi e quanto alla vendetta contro Draghi che sta smantellando tutto il sistema di potere che lui aveva costruito quando stava a Palazzo Chigi, se Conte prova a metterla in pratica scagliandosi contro il governo dietro di sé certamente non troverà Di Maio ma neanche tanti altri.
 

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