M5S, piano per non ricandidare Raggi. Offerta al Pd: a Roma candidato condiviso, Zingaretti vicepremier

M5S, piano per non ricandidare Raggi. Offerta al Pd: a Roma candidato condiviso, Zingaretti vicepremier
di Mario Ajello
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Martedì 22 Settembre 2020, 23:14 - Ultimo aggiornamento: 23 Settembre, 14:27

ROMA Fatte le Regionali, ora la questione è Roma. E c’è un piano M5S, che s’intreccia con l’ipotesi del rimpasto ancora respinta da Zingaretti ma solo in parte («Decide Conte») e chi lo conosce sostiene che in realtà Nicola, non per motivi di ego ma di stabilità politica, sarebbe stuzzicato. Ai piani alti del movimento stellato si ragiona così: «Zingaretti entrerà al governo e si voterà per il Lazio insieme alle Comunali di Roma nel 2021».
 

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A quel punto scatterà il piano grillo-dem in cottura: ai 5Stelle la candidatura alla Pisana della Lombardi, che con Zingaretti ha un’intesa non recente, e per il Campidoglio una candidatura civica condivisa - su Franco Gabrielli l’accordo è possibilissimo se non fosse il capo della polizia vuole continuare a fare ciò che fa - o sul dem Sassoli. Il quale continua a dirsi indisponibile ma che - assicurano ai vertici del movimento stellato - avrebbe anche in qualche modo la simpatia del Colle e al Colle non si può dire di no. Fantasie? Elucubrazioni? 
Quel che è certo è che, nel giro di pochi giorni, la questione Roma dovrà avere un’accelerazione. Perché o il rimpasto si fa subito o non si fa più.

L’intesa grillo-dem per il Campidoglio a cui Zingaretti sta lavorando, e che rientra in quel «patto sulle Comunali» che Di Maio ha proposto al Pd e che è parte dell’accordone di governo, prevede ovviamente il ritiro di Virginia Raggi. Figura diventata a questo punto più ingombrante di prima e che - ecco il problema - al momento non intende fare il passo indietro dalla propria ricandidatura che ha considera che ha voluto con uno strappo rispetto ai tempi del suo movimento e che Grillo e Di Maio hanno appoggiato ma quasi per dovere d’ufficio. E che ora risulta in contraddizione con il nuovo corso dell’appeasement totale in rosso-giallo.

Anche in queste ore «l’ingombrante Virginia», come la definisce Stefano Fassina che di Roma e del nesso questione Capitale-politica nazionale sa tutto, continua a non voler mollare. Anzi a rilanciare se stessa. Convinta di dover proseguire quello che ha fatto, ma sarebbe meglio dire quello che non ha fatto, in questi anni e di poter replicare un’esperienza che i romani sono pronti a giudicare e a bocciare. Ma il percorso immaginato dal movimento, e reso quasi obbligato dall’esito di queste Regionali, non prevede Virginia. E insomma lei reggerà alle pressioni che le arriveranno per il ritiro? 
 

LA ROAD MAP


Per ora non ha ricevuto un messaggio di questo tipo dai vertici del movimento. Ma la road map M5S è chiara: spingerla a cedere il passo, in cambio di un posto nel governo o da dirigente stellata di prima fascia come sarebbe stato per la Appendino se non avesse ricevuto la condanna. A quel punto, Roma potrebbe rientrare a pieno titolo e in posizione privilegiata nella spartizione e nella condivisione in vista del 2021, riguardanti le grandi città al voto: da Napoli (dove Pd e M5S vogliono andare insieme in pieno stile Roberto Fico ma c’è il macigno De Luca che vuole essere il padrone assoluto della scelta sul successore di De Magistris) a Torino dove la partita parrebbe più facile, da Milano (Sala non è amatissimo al Nazareno e un civico condiviso con Di Maio andrebbe a pennello anche se M5S nella capitale lombarda è quasi a zero) alle altre. 
 

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Non è bastato a Luigi Di Maio esaltare il grande successo ottenuto dal M5s con il taglio dei parlamentari: il calo dei consensi è diventato motivo per riaprire lo scontro tra le correnti e invocare, tutti, la convocazione degli Stati generali del Movimento dove trovare le ragioni per una ripartenza.


Una cosa è certa, come dicono nel Pd a dispetto delle autocandidature (vedi la Cirinnà) che fioccano: «Le primarie con 15 candidati nostri provenienti dai municipi o comunque dal nostro mondo sono ormai uno schema superato. La linea è ragionare con Di Maio, per vincere a Roma e dappertutto». L’operazione ritiro della Raggi non è semplice affatto. Anche perché, se M5S dovesse scaricarla, lei è prontissima a fare da sé: a presentarsi in autonomia, convogliando Dibba e gli altri anti-dem tra cui magari Casaleggio che ormai è una mina vagante. 
 

IL NEMICO COMUNE


Le difficoltà dell’operazione sono dunque evidenti. E non è detto che si troverà il modo per mettere da parte la Raggi (a cui Grillo ha detto «Daje!» ma lo stesso Grillo è il più convinto di andare a nozze vere con il Pd). Perciò, nel Pd, ci sono anche quelli che dicono che Zingaretti, notoriamente personaggio allergico agli scossoni, potrebbe accontentarsi invece dell’ipotesi massima, una personalità di raccordo con i 5 stelle da sostenere insieme, di un piano B più alla portata di mano ma anche meno ambizioso. Ovvero, andare al voto di Roma separati da M5S. Condurre una campagna elettorale da avversari ma senza attaccarsi troppo (e con uno slogan comune più di tipo ideologico che civico: «Va fermata la destra!»). E poi al ballottaggio, in cui la Raggi arriverà terza, convergere sul candidato del Pd in cambio di posti di governo e di sottogoverno a Roma e a livello nazionale.
 
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Il piano A sembra quello prediletto. Il piano B sta nelle cose. Di sicuro c’è che i due partiti nella Capitale non si faranno la guerra (solo finzioni e simulazioni) e che Roma sarà il grande palcoscenico in cui, in un modo o nell’altro, si condenserà il senso del voto regionale appena avvenuto e si prefigurerà - e speriamo che i romani non finiscano per diventare vittime innocenti del gioco politico - l’alleanza un po’ appiccicaticcia che vuole riportare Conte o un altro Conte a Palazzo Chigi al prossimo giro nel 2023.

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