Poteva andare meglio. La vittoria sarebbe potuta essere piena, e non mutilata dalla Puglia. Dove Michele Emiliano ha fatto il miracolo e il melonista o meloniano Fitto da favorito non ce l’ha fatta. Eppure, se c’era una roccaforte rossa da espugnare, quella l’ha conquistata Giorgia Meloni - le Marche - e non Salvini che è franato in Toscana bissando l’insuccesso che ebbe in Emilia Romagna.
Naturalmente, però, a Fratelli d’Italia non è il derby con la Lega, cioè la battaglia tra alleati imprescindibili e che tali resteranno (sì, ma poi a Palazzo Chigi ci andrà Giorgia o Matteo? Di certo non Berlusconi o un berlusconiano), quello che interessa davvero. Ma crescere di volta in volta. E stavolta, FdI è cresciuto come partito - si pensi che alle Regionali del 2015 aveva il 4 per cento e ora è al 16,1 - e ha aggiunto all’Abruzzo, dove governa con Marco Marsilio, una nuova regione: le Marche che saranno guidate da Acquaroli (8 punti in più del dem Mangialardi). E l’entusiasmo della Meloni è incontenibile.
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<h2>Sul palco</h2>
Si è precipitata ad Ancona a fare festa e esulta: «Trionfo Marche! Grazie a Francesco Acquaroli e a Fratelli d’Italia un’altra roccaforte della sinistra sarà amministrata dal centrodestra». Dopo 50 anni, quel muro è franato. Mentre l’exploit di Emiliano rovina la festa che il partito di Giorgia aveva pregustato, nonostante circolassero certi scetticismi sulla scelta del candidato Fitto: «E’ una minestra riscaldata», così si sentiva dire. E comunque Fitto, candidato competente e capace, come ha ammesso ieri sera anche Emiliano, si è battuto bene.
Ora questa avanzata di FdI nelle Marche, e nei voti di lista ovunque anche se è ancora Salvini a battersela con il Pd per chi è primo partito a livello nazionale, rende ancora più stretto ma anche problematico il rapporto interno al centrodestra: coabitazione e concorrenza, questo è lo stato dell’arte. Fa parte della fisiologia delle coalizioni la competition is competition. Anche se circola qualche veleno. Salvini ha detto più volte ai suoi che non si è sentito abbastanza difeso - dal «massacro giudiziario di cui sono vittima» - da parte degli alleati del centrodestra. Mentre in Puglia c’è chi dice, dalle parti di Fitto, che «Salvini non ci aiutato. Temeva una vittoria di Giorgia e non ha dato tutto nella lotta contro Emiliano. E’ arrivato al punto di non nominare mai le parole Raffaele Fitto». Veleni, appunto. Mentre i dati dicono questo: Meloni avanza ovunque, primo partito dell’alleanza in Puglia (FdI al 13,3 e Carroccio al 7,9) e in Campania. «Siamo l’unico partito che cresce, da Nord a Sud», esulta la Meloni.
<h3>Uniti sul Campidoglio</h3>
Ma intanto Giorgia è ad Ancona sul palco insieme ad Acquaroli. E si gode la festa così: «Le roccaforti rosse si possono conquistare. E ora Fratelli d’Italia offrirà alla Marche una stagione di sviluppo diverso». Volendo usare la terminologia calcistica, il derby Matteo-Giorgia è finito zero a uno. Con uno zero a due (Puglia a FdI), la leadership del centrodestra sarebbe cominciata a cambiare da subito a favore di Giorgia. Invece, così, la partita è ancora aperta. La scommessa della Meloni è quella di aprire la sua destra e farla diventare più larga, coinvolgendo pezzi di società che cercano un moderatismo affidabile e propulsivo. Affidato a mani esperte - ma FdI soffre ancora di un deficit di classe dirigente - e non dipendente da colpi di testa come quello del Papeete.
E così, il riequilibrio nel centrodestra non ha avuto un’accelerazione drastica nel voto di ieri. Meloni e Salvini procedono insieme, e sono chiamati a una delle scelte più delicate della stagione politica che si apre adesso: quella della scelta del candidato sindaco di Roma.
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