Incidente Cadore, il nonno del piccolo Mattia: «Non dimenticherò mai. Ci ha presi sul marciapiede, è un’assassina»

Lucio Potente non ha più lacrime mentre racconta di quei momenti prima della tragedia e di una serie di coincidenze che non hanno permesso di evitare quel destino tragico

Incidente Cadore, il nonno del piccolo Mattia: «Non dimenticherò mai. Ci ha presi sul marciapiede, è un’assassina»
di Olivia Bonetti
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Sabato 8 Luglio 2023, 09:31 - Ultimo aggiornamento: 11:13

SANTO STEFANO DI CADORE (BELLUNO) - «Una scena impressa nella mia mente che non dimenticherò mai: non auguro al mio peggiore nemico tutto questo dolore». Lucio Potente non ha più lacrime mentre racconta di quei momenti prima della tragedia e di una serie di coincidenze che non hanno permesso di evitare quel destino tragico. È ancora in quell’appartamento di via Udine a Santo Stefano, nel Bellunese, a pochi metri dal punto dell’incidente in cui dovevano stare per tutto il mese. Accanto a lui il figlio Marco, che è accorso dal Veneziano per stare accanto alla famiglia. Ieri mamma Elena è stata dimessa dall’ospedale di Pieve di Cadore ed era chiusa nel suo dolore in quella casa affittata dalla famiglia per le ferie. I pensieri corrono e finiscono sempre lì, in quel dolore immenso che l’ha gettata in una disperazione totale. È il papà Lucio, mentre carica alcuni bagagli in auto, che racconta quella disperazione.

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LA SCENA

«Stavamo andando al mercatino - spiega Lucio - io ero l’ultimo della fila, non ho sentito frenate, nulla: quell’auto ha buttato mia moglie a 50 metri, dopo aver schiacciato il bambino. È rimasta la ruota e sospensione attaccata al palo.

Il bambino era in mezzo». «La vettura ha preso mia figlia sulla gamba, lei è cascata e per fortuna non ha visto nulla: ma io ho la scena in mente e mi resterà finché vivo. Mio genero è morto sul colpo, credo - dice tra le lacrime -. Ho toccato mia moglie e anche lei era ormai deceduta, le ha rotto l’osso del collo. Quella donna al volante non ha fatto un segno di frenata: è triplice omicidio stradale, non è da trovarle un interprete, ma da trovarle un boia».

IL TRAGICO DESTINO

«Eravamo in pensione ed eravamo felici - ricorda Potente - quest’anno eravamo qui a Santo Stefano dal primo di luglio, dovevamo stare fino a fine mese. Mattia avrebbe compiuto 2 anni il 16 luglio e ci stavamo preparando a festeggiarlo». E racconta di una serie di coincidenze che li ha portati dritti in quel luogo a quell’ora. «Abbiamo riposato il pomeriggio - racconta - e avremmo dormito ancora, ma ad un certo punto mi chiamano al cellulare. A quel punto ci siamo svegliati e siamo usciti di casa prima del solito. Quando siamo arrivati all’auto di mio genero, abbiamo detto: prendiamo la vettura. Ma lui aveva lasciato le chiavi in casa e allora abbiamo proseguito a piedi». Poi l’arrivo al punto dell’incidente. «Avevo appena detto: andiamo di là, attraversiamo, che più avanti c’è la strettoia. Poi l’incidente: il destino. Ho visto arrivare una bomba: non ha fatto rumore, ho sentito solo uno spostamento di aria. E io ho visto tutto. Sono cose che senti che accadono in America, all’estero, ma qui? Noi stavamo camminando sul marciapiede e mi uccidi. È venuta sul marciapiede a prenderci».

 

GIUSTIZIA

«Il vigile del fuoco mi aveva detto di andare a sedermi di fronte a lei, la conducente. ma mi sono rifiutato - prosegue Potente -. Voglio dire: io vedo mia moglie morta, mio genero morto a terra. Come facevo? Chiediamo giustizia sì, ma poi alla fine sono le solite frasi fatte. Già al pensiero che un avvocato difende questa persona, un’assassina, mi fa rabbrividire. Spero solo che non venga liberata o quando va in Germania non la vediamo più». E conclude: «Se ci sarà il processo qui, voglio essere lì in aula e guardare in faccia il giudice per vedere cosa dice, cosa fa».
 

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