Ma l'uso dei fondi da parte di Roma continua a preoccupare Bruxelles

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Lunedì 17 Novembre 2014, 06:04
L'EUROPA
ROMA Il dialogo è avviato ma sarà comunque braccio di ferro a Bruxelles sulla lettera che il presidente e il primo vicepresidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker e Frans Timmerman, hanno scritto mercoledì scorso a Matteo Renzi e Martin Schulz rispettivamente come presidenti di turno dell'Unione e dell'Europarlamento. Al Consiglio Affari generali domani, “fuori sacco” perché all'ordine del giorno c'è altro, si discuterà delle quattro pagine a doppia firma dei vertici della Commissione.
IL NODO DEI FONDI

Nell'ottica di Bruxelles, il tallone d'Achille dell'Italia in vista del piano da 300 miliardi d'investimenti, è l'inefficienza o incapacità a spendere i fondi europei. I ministri per l'Europa dei 28 Paesi, presieduti da Sandro Gozi, discuteranno di metodo, della collaborazione (questa sì una novità di Juncker) fra le istituzioni: Commissione, Consiglio e Europarlamento. Sotto la presidenza di Barroso, la Commissione faceva trovare le controparti di fronte ai fatti compiuti, ma l'attività legislativa si arenava poi nei vertici dei leader o nelle secche parlamentari di Strasburgo. Juncker e il suo braccio destro, l'ex ministro degli Esteri olandese Frans Timmermans che rappresenterà domani la Commissione al Consiglio affari generali, hanno deciso invece di collaborare, richiamandosi da scrupolosi euro-burocrati all'articolo 17 comma 1 del Trattato sull'Unione che attribuisce alla Commissione il coordinamento delle politiche comunitarie ma anche l'avvio del «processo di programmazione annuale e pluriennale dell'Unione per giungere ad accordi interistituzionali». A parte i 10 punti di programma esposti nella lettera anticipata dal “Messaggero”, sono interessanti le spiegazioni che li precedono. Il nodo sono i 300 miliardi di investimenti (cifra non indicata nella lettera) che Juncker dovrebbe presentare per fine anno, secondo il primo dei 10 punti («Un nuovo impulso al lavoro, alla crescita e agli investimenti»), con riferimento al pacchetto di dicembre. Ma non si entra nei dettagli.
IL PARAGRAFO-CHIAVE

Un paragrafo “a favore” di Renzi e dell'Italia nella sua richiesta di un cambio di passo espansivo è quello relativo alla «stretta collaborazione tra le istituzioni» come potente messaggio per favorire la «ripresa economica» e contrastare una «disoccupazione che rimane alta in modo inaccettabile». L'Italia può, su questa base, esigere misure di sviluppo destinate ai paesi più fragili. Ma il paragrafo decisivo nell'ottica di Bruxelles e in particolare degli “amici della Merkel” (tra i quali va annoverato lo stesso Juncker) è un altro e sta nell'incipit della mail spedita mercoledì, laddove Juncker e Timmermans precisano che l'Unione Europea deve ottenere risultati nel «migliore interesse dei suoi cittadini» e ciò comporta «un chiaro senso delle priorità condiviso da tutte le istituzioni». Non è un mistero, infatti, che l'Italia non abbia saputo usare bene i fondi europei. I problemi sono due. Il primo: il tempo medio per realizzare un'opera da 80 milioni di euro in Italia è 11 anni. Il secondo: l'Italia deve assicurare il co-finanziamento che invece preferirebbe evitare. Se 1 è l'investimento italiano e 0.75 quello europeo (considerando che siamo contributori netti dell'Unione), non può succedere che alla fine pure lo 0.75 si dimezzi per una burocrazia incapace o corrotta. È questa la sfida di Renzi, e la ragione per cui il governo sta spingendo per le riforme.
Solo una ritrovata credibilità dell'Italia e delle sue istituzioni, a livello nazionale e locale (soprattutto regionale) può dare a Gozi e agli altri negoziatori italiani a Bruxelles strumenti e ragioni per strappare misure concreti di «impulso al lavoro, alla crescita e agli investimenti». Perché altrimenti nel testo della lettera non ci sono le aperture che qualcuno vuol vedere, come quella al punto 5 laddove si parla di revisione del «six-pack» e «two-pack», cioè la rivisitazione dei criteri di valutazione sulla riduzione di debito e deficit, appuntamento previsto ogni anno senza alcuna implicazione necessariamente favorevole all'Italia (anzi).
Marco Ventura
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