Latina, no ai servizi sociali per Lollo: «Nessuna revisione critica del passato»

Latina, no ai servizi sociali per Lollo: «Nessuna revisione critica del passato»
di Elena Ganelli
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Giovedì 17 Giugno 2021, 05:02 - Ultimo aggiornamento: 09:29

«Dopo avere preso meticolosamente in esame la gravità dei reati oggetto di condanna (corruzione in atti giudiziari con conseguimento di profitti quantificati in un milione di euro) e gli aspetti negativi della personalità del condannato (il quale aveva scelto di delinquere nonostante fosse dotato di tutti gli strumenti sociali e culturali per astenersi dalla consumazione di reati) nonché le complicità fornitegli dal nucleo familiare (la moglie e la suocera sono state condannate per varie ipotesi di favoreggiamento nell'ambito delle stesso procedimento), ha passato in rassegna le condotte successive al reato, evidenziando l'assenza di segnali convincenti di revisione critica del passato, a prescindere dalla confessione finalizzata ad ottenere un trattamento sanzionatorio più mite». E' un giudizio durissimo quello espresso dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione nei confronti dell'ex giudice fallimentare del Tribunale di Latina Antonio Lollo la cui richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali per scontare il resto della pena è stata categoricamente respinta.


Lollo era stato posto agli arresti domiciliari il 6 agosto 2020 quando gli venne notificato l'ordine di esecuzione di pena definitiva in regime di detenzione domiciliare emesso dalla Procura di Perugia per scontare una condanna a due anni e dieci mesi. Il Tribunale di sorveglianza di Perugia aveva respinto allora la richiesta dell'affidamento ai servizi sociali sottolineando che, a fronte dei gravissimi reati oggetto della condanna caratterizzati da un «arricchimento fuori dall'ordinario, non si era ancora concretizzata una volontà dell'interessato autenticamente riparativa.

Lollo, infatti, non solo non aveva spontaneamente intrapreso iniziative in favore della collettività, ma non aveva nemmeno fornito alcuna collaborazione per realizzare la restituzione integrale del profitto ed anzi aveva continuato ad abitare nell'immobile confiscato, giovandosi dei vantaggi materiali conseguiti con l'attività illecita». Ma l'ex magistrato, attraverso l'avvocato Pantaleone Mercuri, ha presentato ricorso chiedendo l'annullamento dell'ordinanza e chiedendo nuovamente l'affidamento ai servizi sociali presso l'associazione Diaphorà.


La Suprema Corte, preso atto della richiesta di rigetto da parte del Procuratore Generale, ha giudicato il ricorso inammissibile condannando l'ex giudice al pagamento delle spese processuali. Nel motivare il diniego gli Ermellini citano la prognosi negativa espressa lo scorso anno dal Tribunale di sorveglianza che era anche entrato nel merito della nuova vita dell'ex giudice. «Lollo aveva sì avviato un'attività lavorativa di consulenza in favore di aziende con problemi finanziari e di redditività - scrivono i magistrati - ma aveva preferito non allontanarsi dal settore in cui aveva commesso i reati nella qualità di giudice delegato ai fallimenti ed aveva, anzi, sfruttato le conoscenze personali acquisite nell'epoca di consumazione dei reati. Risulta, infatti, che il commercialista con cui attualmente collabora, in passato, gli aveva versato 20mila euro con causale sospetta ed era stato anche intestatario dell'autovettura nella disponibilità di sua moglie».

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