Wilbur Smith torna in libreria con Il dio del deserto: «Scrivo solo con Taita»

Wilbur Smith
di Nicole Cavazzuti
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Sabato 15 Novembre 2014, 23:10 - Ultimo aggiornamento: 19 Novembre, 19:24
A 81 anni, con oltre 120 milioni di copie vendute nel mondo, Wilbur Smith è adorato dai lettori, amato dagli editori e corteggiato dai produttori. Pur senza segnare la storia del cinema, sono infatti diversi i film e le serie ispirati ai suoi lavori, dalla pellicola “Ci rivedremo all’inferno” con Lee Marvin, Roger Moore e Barbara Parkins alla miniserie televisiva “Il settimo papiro”.



Ora il re dei bestseller, il più importante scrittore d’avventura dei nostri tempi a detta di Fernanda Pivano, è tornato in libreria con “Il dio del deserto” (Longanesi, 512 pagine, 19,90 euro), nuovo capitolo del ciclo egizio, arrivato a ben vent’anni da “Il dio del fiume”, primo romanzo della saga, e a sette da “Alle fonti del Nilo”, penultima avventura di Taita, consigliere intimo del faraone, scriba geniale ed enigmatico.



Ne “Il dio del deserto” lo scrittore, sudafricano di formazione, ci proietta nel sedicesimo secolo a.C all’epoca dell’invasione degli Hyksos del delta del Nilo, «periodo poco noto della storia dell’Egitto e per questo particolarmente stimolante», chiarisce. Per tentare di scacciare il nemico, Taita chiederà l’appoggio del re di Creta, il potente Minosse, ma sarà solo l’inizio di mille peripezie... Anche in questo romanzo non mancano infatti battaglie, intrighi e colpi di scena, sullo sfondo di Babilonia, Sidone e Creta. E c’è pure spazio per l’amore (impossibile), con le due vivaci figlie della regina Lostris, Tehuti e Bakatha, innamorate di un luogotenente e di un soldato della flotta. Per saperne di più, non perdetevi la presentazione che Wilbur Smith terrà oggi a Milano, nell’ambito di Bookcity, alle 17 al Castello Sforzesco (Sala Viscontea) insieme a Massimo Cirri.

Lei oggi vive a Londra, ma mantiene uno stretto legame con l’Africa.



«Sono nato in Zambia da genitori inglesi e dopo aver trascorso l’infanzia nel ranch di mio padre, mi sono trasferito in Sudafrica. L’Africa è sorprendente per flora, fauna e tradizioni. Ma soprattutto, amo gli africani: sono un popolo gioioso, positivo e allegro».



Perché dopo sette anni ha ripreso le avventure del ciclo egizio?

«Perché me lo ha chiesto Taita. Io non decido nulla a tavolino: sono i protagonisti dei miei libri che mi parlano e mi dicono se vogliono partecipare a nuove avventure o se preferiscono godersi la quiete conquistata».



Alla fine de “Il dio del deserto” Tehuti e Bakatha decidono di non tornare in Egitto. È il preludio per una nuova avventura?

«Lo spero: sono molto affezionato a Taita. Ma è presto per parlarne...».



Sua moglie Mokhinisio, però, ci ha appena mostrato il manoscritto del suo trentasettesimo romanzo. Di che cosa tratta?

«Ve lo racconto l’anno prossimo!».



È vero che “Il dio del deserto” è il primo frutto del suo progetto di bottega letteraria e che si è avvalso della collaborazione di due autori?

«No, questo romanzo è opera esclusivamente mia e di Taita. È vero, però, che ho preso contatto con due autori di successo disponibili a lavorare con me in futuro. L’idea è realizzare una sorta di sinopsi, scrivendo tutti i capitoli in appena dieci-quindici righe. I co-autori dovrebbero poi ampliare la storia, che io vaglierei, in un circolo virtuoso. Potrebbe essere un ottimo modo per perpetuare i miei romanzi, anche quando dovessi rallentare nella scrittura».



Vorrebbe lasciare del materiale per pubblicare i suoi romanzi postumi?

«No, non mi interessa: voglio essere sempre presente e attivo nella scrittura dei miei libri».



Veniamo alle sue letture. Quali libri l’hanno sorpresa quest’anno?

«La mia vita è fatta di scrittura e di letture. Lettore onnivoro, divoro tre o quattro libri alla volta. Anche quelli brutti, perché mi interessa capire che cosa non funziona in un romanzo. E leggo, ovviamente, anche i bestseller perché mi interessa comprendere i gusti del pubblico. Uno dei miei autori preferiti, comunque è Stephen King».



Ma c’è una ricetta per scrivere un romanzo di successo?

«Intanto, è fondamentale raccontare una bella storia, ovvero ricca di suspence, ma allo stesso tempo credibile, in cui ci sia spazio anche per l’elemento amore. L’aspetto più complesso, però, è scrivere in modo semplice, capace di appassionare il lettore. Credo che questa sia una qualità innata, che nessuna scuola di scrittura può insegnare».



Quanto è amato dai lettori, tanto è osteggiato dalla critica. Che rapporto ha con la critica letteraria?

«Dobbiamo convivere. Non mi fa piacere leggere recensioni negative nei confronti dei miei libri, ma non mi lascio influenzare»



Ha mai pensato di scrivere un’autobiografia?

«Non sono così umile da escluderlo: sarebbe l’ultimo inganno supremo»



Taita è il mago, il medico, il poeta, il consigliere intimo del faraone, insomma: è l’uomo che regge nell’ombra le sorti dell'Egitto. Chi è il Taita di oggi?

«Non ci sono più personaggi di tale spessore. Anche nel campo della politica, nessuno oggi può vantare grandi doti. Gli ultimi validi politici, secondo me, sono stati Ronald Regan e Margaret Thatcher».



La sua opinione su Obama?

«Penso sia un uomo decisamente simpatico, ma un politico mediocre».
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