Simone Valente: «Non si deve trattare con i capi tifosi e bisognava fermare il campionato»

Simone Valente
di Simone Canettieri
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Sabato 29 Dicembre 2018, 00:05
«Non mi convince l’idea di convocare un tavolo al Viminale con i capi ultras. Credo che sia un approccio sbagliato. Ci sono relazioni molto dettagliate dell’antimafia su certe curve. In generale non vanno legittimati». 
Simone Valente è sottosegretario ai Rapporti con il parlamento e soprattutto segue da sempre lo sport per il M5S. Dopo i fatti di Milano ha preferito il silenzio per «evitare il solito gioco italiano di commentare l’emergenza: tutte le volte accade questo, e cioè un fiume di dichiarazioni che non porta a nulla».

Valente, perché non la convince la proposta del ministro Salvini?
«Credo che a questi tavoli dovrebbero sedere solo le società, la Figc e i prefetti. Ma più in generale ci troviamo davanti a un problema culturale».

Cioè?
«Bisogna partire dall’educazione dei ragazzi quando vanno allo stadio. Certi cori sono insopportabili».

Lei frequenta gli stadi?
«Sì, sono sempre andato, fin da piccolo, tifo Sampdoria, e capisco che non sia un bell’esempio per un bambino ascoltare certi slogan».

Il campionato doveva fermarsi?
«Sì, andava sospesa la serie A per mandare un messaggio chiaro a tutti. Una cesura, come ha detto il premier Conte. Poi, capisco pure che così si colpiscono tutte quelle persone che amano il calcio e lo seguono in maniera pacifica. Parliamo della maggior parte del pubblico. Ma nell’immediato ho pensato subito a uno stop».

E dunque da dove iniziare per riformare i mali delle tifoserie?
«Ecco perché parlo di cambiamento culturale. Penso appunto all’azionariato popolare nelle società. Per fare in modo che la parte sana del tifo entri nella gestione dei club, responsabilizzando tutti. Il modello tedesco sta dando grandi risultati: funziona. Con una partecipazione diretta del pubblico si può provare a isolare certi fenomeni, rendendo tutti più consapevoli».

Servono pene ancora più severe per i violenti?
«Certo: tolleranza zero e inasprimento delle pene: il daspo a vita va dato con maggiore rigore a chi si rende protagonista di certi reati».

Le fan zone sono modelli esportabili in Italia?
«Dal punto di vista normativo tutto ciò che può servire a rendere i nostri stadi più sicuri e gli eventi più fruibili vanno bene. Anche il lavoro di intelligence della polizia va potenziato: il raccordo con i tifosi stranieri è impensabile, va spezzato».

Niente notturne per i match clou: concorda con il ministro Salvini?
«Sì, in Spagna sta funzionando. Mi sembra un’idea giusta».

C’è un rigurgito di razzismo nelle curve: avrebbe sospeso il match di San Siro l’altra sera?
«Credo di sì. E comunque bisogna fare in modo che i passaggi siano abbreviati: davanti a fatti di razzismo, l’arbitro deve decidere subito, evitando altri step. Ora sono tre, vanno ridotti a uno. Servono appunto messaggi forti e di tolleranza zero. Su questo anche il presidente della Figc sembra pensarla in questa maniera. Non si può passare sopra a certe cose».

Le curve sono serbatoi di voti, gran parte di queste guardano all’estrema destra.
«Non ho dati in questo senso. Ma ci sono però relazioni chiare dell’antimafia, come dicevo, su certe frange che animano gli stadi e che li usano per affari illeciti. Dobbiamo affrontare questi fenomeni con la massima fermezza: nessuno sconto».

Daspo, biglietti nominali e tornelli non sembrano però essere la ricetta per migliorare la situazione. Possibile che non si riesca ad aprire una nuova pagina?
«Occorre partire dalle basi, dalle mentalità di chi va a vedere una partita di pallone. I tifosi sani devono essere protagonisti dei processi decisionali dei club: una testa un voto».
 
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