Scrittori in cucina tra saperi e sapori: in una raccolta citazioni e e racconti

Scrittori in cucina tra saperi e sapori: in una raccolta citazioni e e racconti
di Carlo Ottaviano
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- Ultimo aggiornamento: 30 Gennaio, 13:15

«La gastronomia è una macchietta. Serve a caratterizzare un personaggio, a rendere più barocca una descrizione, in una litania di luoghi comuni». Ad affermarlo da tempo è Carlin Petrini, inventore e anima di Slow Food, a proposito della dilagante moda - fornocrazia o gastromania che dir si voglia – di parlare di cibo anche al cinema e nei romanzi. Forse cambierebbe parere di fronte alle raffinatissime edizioni pubblicate nell’ultimo anno dalla piccola casa editrice milanese Henry Beyle (che è poi il nome vero di Stendhal): libretti tirati al massimo in 375 copie, numerati, cuciti a mano su carta Zerkall Bütten con caratteri Garamond monotype corpo 11. Vere chicche da amatori, come appunto anche i testi mai banali. 

NOVITÀ
La prossima uscita (martedì 2 febbraio, 25 euro) sarà "Il pollo al diavolo" di Aldo Palazzeschi con il confronto tra uno scritto del 1939 su “Prospettive”, rivista diretta da Curzio Malaparte, e un altro di 30 anni dopo nell'antologia di vari autori della Vallecchi "Ieri, oggi e non domani". Interessante argomento di analisi anche per i critici, a partire dai due diversi titoli dati a distanza di tre decenni: "Pollo alla diavola, Pollo al diavolo". Dove in entrambi i racconti il vero diavolo sembra il burbero oste delle colline fiorentine che quasi gode nell’obbligare l'avventore ad aspettare a lungo «giacché il pollo al diavolo è di lentissima cottura, quaranta minuti almeno e guai ad affrettarla, lo avreste sbruciacchiato alla superficie e crudo internamente, deve diventare una polpa tenerissima in cui il sangue non si rivela più nel suo colore». «Scosciato senza misericordia né pudore il tenero pollastrello, occorrono polli giovani per tali avventure ...», precisa l'autore di "Sorelle Materassi". 
Come Palazzeschi che non disdegna di scendere nel campo proprio dell'arte culinaria, anche il critico e giornalista Mario Praz. In "Invito alla cucina" racconta di cimentarsi in prima persona tra pentole e fuochi e «non è mica detto - scrive - che io non dia seguito a questa disposizione, dal momento che credo che lo stipendio di professore universitario in Italia sia inferiore a quello di un discreto cuoco in certi paesi stranieri». 

GIUDICE
Chissà cosa scriverebbe oggi, scoprendo che un Carlo Cracco, il giudice ombroso e bello di Masterchef, lo scorso anno ha fatturato poco più di 4 milioni, a fronte di uno stipendio medio di un ordinario della Sapienza di circa 80 mila euro. 
Non cucinava, ma assai curioso di cucina era Leonardo Sciascia. In "Sarde e altre cose allo zolfo" (con testi dal 1964 al 1987) spiega la ricetta che dà il titolo al libretto: «Mentre ancora lo zolfo è liquido e ardente della “gavita” gli zolfatari usano cuocere certi loro cibi: e particolarmente le sarde salate. Basta, tenendole per la coda, calarle nello zolfo per un momento e ne escono rivestite di una crosta di zolfo, forma grottesca e surreale da suggerire alla “pop-art”. Sgranocchiata la crosta, ecco la sarda cotta: di un sapore che un po' tiene di certi pesci affumicati ma con in più il sentore dello zolfo, piacevolissimo». Del cuscus precisa che può essere anche dolce, candito, perché «c'è cuscus e cuscus: il cuscus dei poveri e il cuscus dei ricchi, il cuscus che sazia e quello che delizia». E, come tutti i siciliani, ci offre una lezione assolutamente professionale sulla difficoltà di fare un'arancina a regola d'arte.
Un altro “fissato” di cucina doveva essere l'autore del "Deserto dei Tartari". Dino Buzzati nel 1961 mette attorno a un tavolo “il consiglio segreto della cucina italiana”, per giudicare la ristorazione milanese e bocciarla in modo inappellabile. «Non è neanche possibile individuare un ristorante migliore», scrive in "Come si mangia a Milano". Per quanto riguarda i suoi gusti, pur essendo diventato verso la fine della sua vita vegetariano, scriveva che «vivrei di zamponi, di selvaggina e di senape, di tutto ciò che produce colesterolo. E se non mi facesse male, sarei sbronzo tutte le sere».
Ma alla fin dei conti Che cosa mangiano i poeti, per usare le parole del gustoso titolo di Massimo Bontempelli? «Il poeta lirico, o poeta pur che dir si voglia, si nutre esclusivamente di insalata, frutta crude, e la domenica formaggio. Il poeta impuro, cioè il romanziere, può anche mangiare cose cotte, pur che le faccia cuocere da sé». E qui l'artista del realismo magico ci dettaglia due sue ricette del 1939: la costata alla fiorentina (raccomandando che deve «essere voltata una volta sola») e le uova alla ghigliottina. Invece del “qb”, il quanto basta delle ricette odierne, ci indica i tempi a modo suo: «Mettiti allora a recitare a mezza voce il noto sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare” in un movimento di andantino tranquillo, e ripetilo, senza rallentare né affrettare, tre volte». Come dire: prima di andare a scuola di cucina, andate a Scuola. 
 
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