Poste, l'ad Francesco Caio: «Pronti a investire in infrastrutture in Italia»

Poste, l'ad Francesco Caio: «Pronti a investire in infrastrutture in Italia»
di Andrea Bassi
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Martedì 5 Aprile 2016, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 17:25
In Germania il dibattito è più che acceso, è rovente. Dopo le ultime misure decise dalla Bce, che ha aumentato gli acquisti mensili di titoli di Stato a 80 miliardi, e ha portato sotto zero anche i tassi sui soldi prestati alle banche nelle operazioni di finanziamento a medio lungo termine (Tltro), i tedeschi hanno coniato un nuovo termine: non parlano più di tassi negativi, ma di tassi «punitivi». Dove ad essere puniti sarebbero i risparmiatori, che rischiano di dover pagare per parcheggiare i loro soldi.

In Italia se ne discute di meno, ma per comprendere quanto il tema sia rilevante, basta osservare i rendimenti offerti dai Buoni postali, una delle forme di risparmio più diffuse. Su vent’anni, a regime, il massimo che offrono è lo 0,60%. Qualche decina di euro ogni 10 mila investiti. Sono lontani i tempi in cui il capitale raddoppiava in un lustro o poco più. «La sfida che industrialmente oggi stiamo affrontando», spiega Francesco Caio, amministratore delegato di Poste spa, «è di aiutare le famiglie e i risparmiatori, a capire bene a fronte di una loro richiesta di rendimento, che cosa si possono permettere rispettando il profilo di rischio loro assegnato». 

Si spieghi meglio ingegner Caio. In genere le Poste sono identificate con i Buoni e i libretti, strumenti senza rischio perché garantiti dallo Stato...
«Quando abbiamo varato il piano industriale, già nel 2014, abbiamo indicato nel mondo a tasso zero una caratteristica di contesto strategico nella quale Poste si sarebbe dovuta sviluppare. I mesi successivi hanno confermato l’ipotesi. In una delle componenti del nostro mestiere, quella del risparmio, avevamo da subito indicato la necessità di predisporre la nostra rete, i nostri servizi e i nostri sistemi, per accompagnare gradualmente i nostri clienti verso il risparmio gestito. In un mondo ad alta variabilità, l’esigenza di mettere in sicurezza il risparmio resta garantita dai Buoni fruttiferi, ma c’è la necessità, altrettanto importante, di rispondere a un’esigenza del risparmiatore che ponendosi in un orizzonte più lungo, vuole ottenere un rendimento». 

 
Per questo avete investito in Anima sgr?
«Sì. Penso che per Poste sia importante rendere disponibile, anche su tagli e su dimensioni di risparmio tipiche del cittadino medio, strumenti che magari fino a poco tempo fa erano disponibili solo per il private banking».
 
Dopo la risoluzione delle quattro banche, che ha bruciato i risparmi degli obbligazionisti subordinati, avete registrato effetti sui depositi del Bancoposta o sui Buoni postali?
«Come azienda quotata non possiamo anticipare dati sull’andamento annuale, saranno informazioni oggetto della comunicazione trimestrale».

Il mondo a tassi zero incide anche sull’altro versante per Poste, quello degli investimenti, considerando che siete grandi fan dei Btp. Avete lo stesso problema dei vostri risparmiatori, ormai rendono troppo poco.
«Noi abbiamo un obbligo a investire i depositi dei nostri conti correnti in buoni di Stato denominati in euro. Abbiamo un portafoglio variegato la cui durata va da sei mesi a trent’anni, e su questo continuiamo a vedere buoni ritorni. Diverso è il caso delle riserve tecniche vantate da Poste Vita». 

Che ormai, se non sbagliamo, sono oltre quota 100 miliardi.
«Come per tutte le assicurazioni, dovremo cercare rendimenti più attraenti. Perciò, gradualmente ci sposteremo dalla predominanza di Btp ampliando la fascia di altri investimenti. In questa fascia, Poste d’ora in poi va considerata come un investitore pronto a partecipare a progetti infrastrutturali». 

Che tipo di infrastrutture?
«Infrastrutture, anche regolate, in grado di produrre ritorni interessanti nel lungo periodo. Pensiamo che Poste possa così svolgere un ruolo di ponte tra il risparmio e l’investimento. Per questo siamo pronti a supportare una forte progettualità che aiuti a mettere in moto l’economia del Paese».

Da ieri le Poste distribuiscono Spid, il Pin unico voluto e promosso dal governo.
«Sì, siamo partiti con 3.800 uffici postali. È un bell’esempio di questa strategia ibrida, analogica e digitale, che ci siamo dati come obiettivo per accompagnare il Paese verso il digitale. Tutti gli strumenti per ottenere Spid sono disponibili anche on line, ma chi ha intenzione di farsi accompagnare nel processo può recarsi direttamente nell’ufficio postale». 

L’obiettivo del governo è ambizioso: 3 milioni di identità digitali solo nel 2016. È realistico?
«È possibile. Va ricordato che Spid è un sistema federato, non è fornito solo da Poste. C’è un interesse crescente ad avere un aumento del numero degli Identy provider, di coloro che forniscono le credenziali. L'altra cosa importante, al di là degli obiettivi numerici, sarà mettere in linea, accessibili tramite Spid, un numero crescente di servizi. Questo è l’obiettivo del governo, e va nella direzione della semplificazione della vita dei cittadini».

Quanto è davvero importante avere una password unica per accedere a tutti i servizi on line della Pa e non solo?
«È un’enorme semplificazione per i cittadini di questo Paese, per ottenerla stiamo costruendo un’infrastruttura immateriale. Come lo scorso secolo si costruivano gli impianti siderurgici, la complessità di realizzazione di questi strumenti è analoga. La componente tecnica e tecnologica è importante, ma a fare la differenza è la coralità di sforzi sotto lo stesso standard».

>Ingegnere, il governo è intenzionato a collocare una nuova tranche di Poste per compensare i mancati introiti della privatizzazione di Fs, ma per ora il mercato non sembra gradire.
«Queste sono decisioni che spettano solo al governo». 
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