«Tutti i leader sono spiati», parla Ian Bremmer, esperto di Intelligence americano

«Tutti i leader sono spiati», parla Ian Bremmer, esperto di Intelligence americano
di Flavio Pompetti
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Domenica 28 Giugno 2015, 21:39 - Ultimo aggiornamento: 29 Giugno, 00:12
«È bene chiarire il campo quando si parla di spionaggio dai falsi pudori e dagli imbarazzi di facciata: chi può farlo, spia spesso e volentieri nei confronti di chiunque entri nel suo cerchio di interesse». Il presidente dell’agenzia di consulenza internazionale Eurasia Ian Bremmer taglia corto sulla polemica delle intercettazioni da parte della Nsa delle conversazioni private di tre presidenti francesi. «I confini della privacy sono ristretti oggi anche per il più insignificante dei cittadini del mondo. È pura utopia immaginare che non lo siano anche quelli dei potenti».



Ma la Francia è uno degli alleati europei degli Usa. «Certo, e anche un paese a tecnologia avanzata in tema di intercettazioni. Come la Cina, ha realizzato una fitta rete di contatti tra i servizi segreti e le industrie nazionali, e difende i suoi interessi in tutto il mondo. Per Washington poi la Francia è anche un Paese che ha contatti diretti e importanti con la Russia e con l’Iran, due paesi di primaria importanza per la nostra politica estera. Diciamo che ci spiamo a vicenda senza rancore, a meno che la cosa cada sotto gli occhi del pubblico».




La telefonata tra Obama e Hollande mercoledì scorso secondo lei è stata cordiale? «A giudicare dalla breve durata che ha avuto, direi che non c’è stato nessun motivo di reale frizione. I due Paesi metteranno presto la vicenda alle spalle».



Che interesse ha l’America a spiare l’Eliseo? «I rapporti transatlantici non sono più quelli di una volta, e non solo per via della caduta del muro di Berlino. Paesi come Francia e Germania oggi sono coinvolti in negoziati bilaterali con la Cina, il Medio Oriente, la Russia, e non aspettano più direttive da Washington. Questa nuova indipendenza politica è una conseguenza naturale della globalizzazione economica degli ultimi 25 anni. In superficie quindi restano rapporti di amicizia e di rispetto tra gli alleati, ma sotto questa vernice sappiamo bene che ogni stato coltiva i suoi interessi particolari, e che si serve anche dello spionaggio per perseguirli».



Chi detiene il primato tecnologico nel ciber-spionaggio? «Ci sono delle distinzioni da fare. Gli Usa hanno sviluppato la migliore rete mondiale di protezione della sicurezza nazionale, perché sono stati i primi ad essere colpiti su questo piano dall’attacco del’11 settembre 2001. La Cina e la Francia primeggiano invece nello spionaggio legato alla protezione e alla promozione dei loro interessi commerciali, perché finora hanno ritenuto che quella fosse la loro priorità. Poi c’è stata la strage di Charlie Ebdo, ed ecco che la Assemblée National ha approvato l’altro giorno nuovi parametri di sorveglianza anche per la Francia. Quella che fino ad ieri era ritenuta un’ossessione del governo americano per la collezione dei dati sulle comunicazioni, oggi contagia anche la Francia».



È quindi legittimo ascoltare le conversazioni di tre capi di stato in Francia in sei anni? «Se la tecnologia lo permette, perché tirarsi indietro? Abbiamo visto che la Nsa si è impegnata in un programma molto più complesso, costoso e difficile da gestire, come la raccolta dei flussi di comunicazione di decine di milioni di cittadini americani. Perché dunque pensare che una simile attività sia limitata al territorio nazionale? La vera questione per i nostri servizi è: siamo capaci di eseguire il programma con efficienza e profitto? Se la risposta è positiva, l’etica passa in secondo piano, come è sempre successo nello spionaggio».



L’indignazione parigina è quindi una protesta di facciata? «Dopo le rivelazioni di Wikileaks sulle intercettazioni della Merkel e della Rousseff due anni fa, ogni capo di stato avrà fatto bene a prendere le giuste precauzioni per difendere la sua privacy. Quest’anno abbiamo appurato che il telefono di Obama è stato violato da hacker cinesi, forse su commissione del governo russo. Dopo due giorni la notizia era scomparsa dai giornali».



La presunzione della segretezza è quindi scomparsa. «Ho l’impressione che questa nozione abbia un suono ben diverso alle orecchie dei giovani dell’ultima generazione, cresciuti in un mondo di tracciabilità continua e totale: da Facebook a Google, e nel quale i loro dati personali vengono raccolti e venduti in ogni momento. Sappiamo tutti che governo ed industria cercano ogni giorno di ampliare la loro capacità di ascolto, così come sappiamo che le minacce alla sicurezza dei suoi cittadini sono diventate più capillari e imprevedibili, e che richiedono nuove tattiche difensive. La privacy come la conoscevamo nel secolo passato non esiste più».
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