Emmanuel Carrère: «La fede, eterno mistero»

Emmanuel Carrère: «La fede, eterno mistero»
di Francesca Pierantozzi
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Martedì 10 Marzo 2015, 21:13 - Ultimo aggiornamento: 11 Marzo, 00:20
«Bizarre», bizzarro, strano, stravagante, è l’aggettivo che Emmanuel Carrère usa di più per descrivere il cristianesimo.

Alla religione, anzi «alle vicende di questo piccolo gruppo di uomini che duemila anni fa ha creduto nella resurrezione di Gesù», al modo «bizzarro» in cui hanno cominciato a convincere sempre più persone che questa storia «stravagante» era vera, lo scrittore francese ha dedicato il suo ultimo libro, Il Regno, appena tradotto in Italia da Adelphi.



Best seller in Francia, il libro è un’erudita e romanzata ricostruzione delle origini del cristianesimo e allo stesso tempo il racconto di una fede, quella che il giovane Carrère visse per tre anni, totale, profonda, integrale.



Oggi quel Carrère non c’è più, ma lo scrittore di successo, autore di Limonov e di L’Avversario, non ha dimenticato.



Dove l’ha portata l'avventura del “Regno”?

«Credo fosse Truffaut che diceva che un film è necessariamente un processo di perdita, tra quello che s’immagina e il suo risultato. Secondo lui più il risultato era vicino a quello che si era immaginato all’inizio, ovvero meno perdita c’è stata, più l’opera era riuscita. Capisco il punto di vista ma non sono d’accordo. Penso invece che più grande è lo scarto tra quello che si è immaginato all’inizio e il risultato finale e meglio è. Significa che c’è stato un viaggio, che qualcosa è successo: il processo mi deve portare a qualcosa d’inatteso».



Ed è arrivato a un luogo inatteso?

«Non so dove questo libro mi abbia portato. È un libro molto particolare: non mi sembra di averlo davvero terminato. Potrei benissimo scrivere qualcosa sullo stesso argomento tra dieci o vent’anni. I miei altri libri sono “chiusi”. Questo no».



Come definirebbe l’argomento del Regno: la fede? La religione?

«L’argomento è il cristianesimo. Vasto tema, lo so».



Non la fede?

«No: il cristianesimo. Non so bene cosa sia la fede, mi lascia perplesso. Volevo invece capire cosa fosse e com’è nata questa cosa bizzarra che è il cristianesimo: un fenomeno allo stesso tempo storico, mentale e spirituale, che da duemila anni lascia una traccia nelle nostre coscienze, anche in quelle di chi non crede. Scrivendo Il Regno ho avuto sempre l’impressione di scrivere di qualcosa di molto più grande di me, qualcosa che non riuscivo a capire: cosa non coerente per un non credente. Ho potuto pensare o sentire che la vita di Limonov fosse affascinante, ma mai che fosse più grande di me. Scrivendo del cristianesimo, ho avuto l’impressione di scrivere di qualcosa che non comprendo, ma che mi comprende».



Lei parla di follia del cristianesimo: è una follia?

«Sì. E il primo a dirlo è stato san Paolo. La follia è una dimensione centrale del cristianesimo».



In che senso?

«Non la resurrezione, non i misteri della fede, ma l’inversione radicale di tutti i valori è il cuore del cristianesimo».



Come guarda al Carrère di 25 anni fa, profondo credente e praticante? Con tenerezza? Nostalgia?

«Nostalgia proprio no. Mi piacerebbe avere uno sguardo tenero su quel giovane che fui allora, ma non credo sia il caso. La verità è che rispetto a quella fase della mia vita, io provo imbarazzo. Quasi vergogna, sono a disagio. Quella volontà accanita di fede e religiosità mi pare oggi artificiale, dogmatica, rigida. Conosco credenti che offrono della fede un volto ben più luminoso, aperto agli altri. Nel mio caso fu un sentimento molto chiuso, egocentrico, non attraente. Il mio autoritratto non mi sembra molto simpatico. Ma scrivendo un libro sulle origini del cristianesimo, mi è parso legittimo, anzi necessario, parlare anche del periodo in cui ho fortemente voluto crederci, letteralmente».



Come spiega che questo messaggio sia così forte da duemila anni?

«È un mistero. Molti elementi entrano in gioco. C’è il messaggio del Vangelo, poi c’è la Resurrezione, che non fa parte di ciò che Gesù ha detto, ma di quello che è stato detto su Gesù. E infine il ruolo svolto da Paolo. Si può dire che il cristianesimo sia soprattutto opera di Paolo, un oscuro agitatore religioso della Galilea. E incredibilmente questa storia ha «preso». Oggi, credenti o no, siamo abituati al cristianesimo, alle stravaganze del messaggio o dei riti. Eppure è qualcosa d’insensato, qualcosa di folle in cui credono tante persone razionali, che parallelamente vivono vite del tutto “normali”. Ho voluto riportare il lettore a queste stranezze fondamentali, più vicine alla fantascienza che alla religione. Il Regno è un libro scritto con profonda amicizia nei confronti del cristianesimo, non è il libro di un credente, non è nemmeno un pamphlet alla Voltaire. Ho cercato di avvicinarmi a qualcosa di cui riconosco tutto il mistero».



Non trova che viviamo un’epoca in cui si parla troppo di religione? L'ultimo libro di Michel Houellebecq, il terrorismo islamico, gli attentati di Parigi: non si rischia un cortocircuito?

«Che il fatto religioso acquisti tale ampiezza è per me negativo, è pericoloso e può essere catastrofico. La religione occupa oggi un posto simile a quello del nazionalismo nel secolo scorso».
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