La stella nera di Bowie, ecco “Blackstar”: eclettico e misterioso viaggio di un mago della musica

La stella nera di Bowie, ecco “Blackstar”: eclettico e misterioso viaggio di un mago della musica
di Marco Molendini
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Mercoledì 23 Dicembre 2015, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 28 Dicembre, 19:51
Blackstar è un magical mistery tour firmato da David Bowie. Nulla a che fare coi Beatles, si tratta di un viaggio dettato dalla voglia di sperimentare, un avventura che non è rock e non è jazz, ma è tutt'e due insieme, le due anime del Duca bianco che, da ragazzino (così raccontò), non sapeva se fare il cantante di rock o il sassofonista sulle orme di John Coltrane. Per questo il disco, che uscirà nel giorno del suo sessantanovesimo compleanno, l'8 gennaio, è un album fascinoso, ambiguo, glamour e incantato (in copertina il titolo è indicato graficamente da una enigmatica stella nera) perfetta traduzione in suoni e immagini dello spirito del nostro tempo. Quaranta minuti e poco più, frammenti di un Bowie ispirato dal desiderio di fare quello che lo incuriosisce e dall'estro della maturità, non intaccato dai guai di salute (in studio è andato avanti a cantare anche per sette ore filate, hanno raccontato i suoi collaboratori), pur se la scelta di non apparire resta (non si esibisce in pubblico dal 2006) come quella di non dare interviste. 

IL TEAM
A parlare ci sono la musica e chi ha lavorato con lui. Un gruppo di lavoro pescato in un club newyorkese, il 55 bar, locale la cui storia risale ai tempi del proibizionismo, dove l'anno scorso David si è presentato in incognito ad ascoltare il gruppo di Donny McCaslin, un sassofonista quarantenne, uscito dalla prestigioso Berklee college, che ha suonato con gli Steps Ahead, con Dave Douglas e con Maria Schneider, la band leader che aveva collaborato con lui in Sue (or in season of crime). A gennaio la convocazione ai Magic shops studios, con la consegna del segreto assoluto. 
Il risultato è Blackstar, sette pezzi (su 16 registrati) elegantemente spericolati, suonati con spirito libero, dove a dominare è il canto spaziale di Bowie (la cui suggestione è amplificata dall'uso di un forte effetto eco e dall' ADT, il sistema che permette di raddoppiare le voci, inventato ai tempi dei Beatles, che odiavano ripetere le registrazioni). A fare da contraltare è la parte strumentale, non solo nell'accompagnamento, ma anche coi frequenti interventi solistici e la disinvoltura che solo i jazzisti sanno offrire. 

IMPATTO
L'effetto è immediato, fin dall'apertura di [/FORZA-RIENTR]Blackstar, sigla della serie The last panther, che parte con una sorta di suggestivo e fascinoso canto gregoriano e poi si apre in una melodia sbilenca contrappuntata dai fiati. Un singolo che è una sfida: la versione originale era di 11 minuti è stata tagliata a 10 perché iTunes non posta brani che superano quel limite. Nel testo, secondo McCaslin, ci sarebbe anche un riferimento all'Isis (quando il testo parla di solitary candle), ipotesi però non confermata da nessun altro. 

HIP-HOP
Più aggressiva e dark, spinta da un beat hip-hop (traccia dell'idea iniziale di trarre spunto dalla musica di Kendrick Lamar) e da un sax libero che evoca certe atmosfere del free d'annata, che fanno lontanamente pensare alla lezione di Albert Ayler, 'Tis a Pity She Was a Whore, nuova versione del lato b di Sue (or in a season of crime), che prende il titolo da una lirica del '600 dell'inglese John Ford. Sue (Or In A Season of Crime) viene riproposta in un'altra edizione, senza gli arrangiamenti orchestrali di Maria Schneider e Lazarus, altro brano solidamente riuscito, parte della piéce teatrale off-Broadway, prodotta da Bowie come ideale seguito di L'uomo che cadde sulla terra. Assai particolare è il testo di Girl loves me, un pezzo incalzante che nel testo ricorre a uno slang, Polari, che nella Londra degli anni 60 era usato dal mondo dello spettacolo e dall'ambiente gay. Dollar Days è il brano più cantabile e meno spericolato, una ballad dal fascino maestoso, sostenuta da coro e archi con un solo di sax tenore centrale, antipasto al finale rotondo di I can't give Everything Away dove gli archi si aprono per l'unico assolo di chitarra del disco, affidato al jazzista Ben Monder. Dopodichè non resta che la voglia di immergersi di nuovo nel misterioso viaggio sonoro di un mago che fa pensare che le vie della musica non siano finite.
 
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