L’arte di essere Chiara: la figlia di Mastroianni e Catherine Deneuve racconta la sua doppia cultura

L’arte di essere Chiara: la figlia di Mastroianni e Catherine Deneuve racconta la sua doppia cultura
di Gloria Satta
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Domenica 3 Aprile 2016, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 8 Aprile, 08:44
«Il mio sogno appena sbarcata a Roma? Bere un caffé italiano e magari tornarmene a Parigi con un prosciutto in valigia», sorride Chiara Mastroianni che dal 6 all’11 aprile sarà la madrina della sesta edizione di Rendez-vous, il festival di nuovi film francesi organizzato per iniziativa dell’Ambasciata di Francia e artisticamente diretto da Vanessa Tonnini. Chiara, 43 anni e due figli, ha l’eleganza della madre Catherine Deneuve e la leggerezza del padre Marcello Mastroianni, un approccio simpaticamente “caldo” e gentile alle cose e una carriera di tutto rispetto che fa di lei una delle attrici più complete della sua generazione.

Ha lavorato con i maestri, da Techiné a Altman, De Oliveira, Lelouch, Desplechin, Figgis, Jacquot, Beauvois. Al Rendez-vous ha avuto “carta bianca” per mettere in cartellone tre film da lei interpretati. Ha scelto Racconto di Natale di Desplechin, 3 cuori di Jacquot e l’anteprima di Good Luck Algeria, opera prima dell’attore Farid Bentoumi, coprodotta dai Dardenne.

Che effetto le fa essere la madrina del Rendez-vous?
«Madrina mi sembra una parola un po’ troppo impegnativa, preferisco pensare che vengo a vedere dei bei film e incontrare il pubblico. Sono felicissima. Il cinema francese e quello italiano in passato sono stati complici grazie alle coproduzioni, ora mi piace l’idea che riprendano a darsi la mano».
Cosa è per lei l’Italia?
«Una delle mie due metà, quella associata alla spensieratezza, al gusto della vita, ai bei ricordi d’infanzia. Forse perché nel Paese di mio padre non ho mai avuto responsabilità quotidiane ma sono sempre venuta in vacanza».
In cosa si accorge di essere italiana?
«Non me ne rendo conto perché mi considero un mix equilibrato fra le mie due identità. Gli altri, semmai, mi dicono che sono italiana perché parlo muovendo le mani. E a Roma i tassisti, ingannati dalla mia “erre” moscia, mi prendono per una turista e quando mi caricano all’aeroporto mi fanno fare il giro del mondo...».
Tra i film che lei ha messo in programma al festival c’è Good Luck Algeria: di cosa parla?
«Affronta, in chiave leggera, il tema del ritorno alle origini. Io interpreto la moglie di un francese, titolare di un’azienda che produce sci sull’orlo del fallimento: per risollevarla s’inventa un campionato sulla neve in Algeria, il Paese del padre. Il film racconta come si convive con una doppia identità, molti si identificheranno nel protagonista. Spero venga distribuito in Italia».
Che criterio guida le sue scelte cinematografiche?
«E’ molto semplice: quando leggo una sceneggiatura, capisco subito se mi immagino dentro o no. Non mi forzo mai».
Pensa anche lei, come molte attrici, che il cinema sia avaro di bei personaggi femminili?
«Per le donne la vita è più complicata, e non solo sul set. Ma rispetto al cinema americano, sempre molto crudele con le attrici, da noi le cose vanno meglio. Comunque non generalizzerei: sarò ingenua, ma mi sento ottimista».
Lei ha girato sei film con sua madre: si è sentita intimidita o rassicurata?
«Ammetto che, se non si fosse trattato di mia madre, ansiosa come sono avrei avuto paura del suo personaggio. Va detto però che l’immagine pubblica di Catherine Deneuve può intimidire, ma non corrisponde alla realtà».
Essendo figlia di due mostri sacri del cinema, si è sentita “obbligata” a seguire le loro orme?
«Ho avuto la fortuna di avere due genitori intelligenti che non hanno mai interferito nelle mie scelte e non si sono mai comportati da divi: in casa nostra la vita era normalissima e io non ho mai perso un giorno di scuola per seguire mia madre o mio padre sul set. Si sono preoccupati del mio avvenire, come tutti i genitori. E io a mia volta ho fatto di tutto per non deluderli».
C’è un film che le ha lasciato un’emozione particolare?
«Difficile scegliere. Ho avuto la fortuna di lavorare fin dall’inizio con registi di primo piano. Ho potuto imparare velocemente».

 
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