Nelle banlieue dove crescono i nuovi jihadisti

Una rivolta nella banlieue parigina (foto d'archivio)
di Mario Ajello
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Sabato 21 Novembre 2015, 13:10 - Ultimo aggiornamento: 16 Novembre, 00:52
dal nostro inviato

PARIGI ​Lo stesso quartiere di Mehedi Benatia. La stessa banlieue dove é nato l'ex calciatore di origini marocchine della Roma, che ora milita nel Bayern. Il terrorista che si é fatto saltare in aria nel teatro rock del Bataclan, dopo aver abbattuto a colpi di mitra decine di ragazzi, proviene da questo sobborgo parigino: Courcourennes, nel quale é quasi impossibile sentire parlare francese. E in cui lo choc della strage degli innocenti, che sta sconvolgendo il mondo, sembra non essere arrivato. Non c'è traccia, in questo luogo di segregazione sociale somigliante a tanti altri, di dolore da pugno allo stomaco per tutto ciò che é successo. Arabi, neri, il popolo di qui é questo. E sarebbe difficile distinguere fisicamente questi giovani pakistani ma francesi, maghrebini ma francesi, che sembrano usciti dal famoso film sulla rivolta delle periferie intitolato «L'odio», da Omar Ismail Mostefai, il kamikaze della porta accanto, il ventinovenne di origini algerine che poi ha aderito alla jihad tra la cittadina di Chartres, patrimonio dell'umanità, e l'addestramento in Siria, palestra della violenza inumana.

I RAGAZZI

I ragazzi stanno davanti alla stazione del treno per Parigi e minimizzano: «Gli attentati dell'altro giorno? Nel mondo si muore e anche la Francia sta nel mondo». Dall'altoparlante della stazione, esce una voce gracchiante che dice: «Se vedete un bagaglio abbandonato, chiamate subito la polizia». Molti di questi giovani, della stessa banlieue in cui sono appena stati arrestati il padre e il fratello del kamikaze Omar, non ci penserebbero affatto, e per nessuna ragione, a mettersi in contatto con le autorità. Questi, tra disoccupazione, scollamento e deliri su Maometto ma che non c'entrano nulla con il Profeta, sono i luoghi in cui si tocca con mano che la patria dei Lumi ha un problema immane con i 6 milioni di cittadini repubblicani di fede islamica, circa il dieci per cento della popolazione francese.



I RAGIONAMENTI

Ci sono ventenni che ragionano come una di loro, appena uscita dal negozio di un parrucchiere pakistano sperduto in questo luogo di segregazione sociale che le autorità francesi cercano di integrare senza successo a riprova del fallimento del multiculturalismo: «Sarei piú disposta a morire per il Profeta che per la democrazia», dice Halina.

Sembra di stare nel Maghreb. Si sentono odori di spezie, di cibo orientale, di kebab in questo mondo a parte. E l'etimologia stessa della parola banlieue suggerisce una sostanziale esclusione dal resto della società. "Ban" indica "mettere al bando". E "lieue" é il luogo.



Banlieue letteralmente significa un luogo bandito. Anche se l'imam, con ogni ragione, difende la sua comunità: «É fatta di persone perbene. Qualche mela marcia. La si può trovare dappertutto». Non c'è dubbio, ma neanche c'è dubbio sul fatto che ormai in luoghi come questi l'Islam per molti, in maniera pacifica, é diventata più di una religione: una morale e una cultura, quella che la Francia non é riuscita a dare a tutti. Osserva lo scrittore Tahar Ben Jelloun, che queste zone le conosce: «In Francia, lo Stato non si é preoccupato sul serio e in profondità delle condizioni delle periferie, in cui vivono e sopravvivono giovani non strutturati, pronti a qualsiasi avventura, dal traffico della droga alla criminalità violenta. É in questo spazio lasciato vuoto dallo Stato che i reclutatori islamisti intervengono».



LE DONNE

Qui a Courcourennes, una bancarella vende ogni tipo di velo per le donne musulmane, i prezzi variano da 3 a 6 euro e il più caro è quello più inquietante, il niqab, che lascia scoperti soltanto gli occhi. Le donne non parlano. Un uomo, che dice di chiamarsi Ismail, sorride: «La vita ricomincia, no?». E si riferisce, senza dargli eccessiva importanza, al fatto che non bisogna attardarsi troppo a pensare e a commentare una strage appena accaduta in questa città è che sta sconvolgendo la Francia e il mondo: «Non si muore, molto più spesso, in Iraq o in Siria?», incalza Ismail. Tutte le autorità musulmane, tutti gli imam parigini, stanno per ritrovarsi in serata al Bataclan, come gesto di solidarietà all'Occidente ferito e alle sue vittime, e il titolare della moschea di Courcourennes prima di andare a portare il suo cordoglio spiega: «Noi facciamo di tutto per spiegare la vera religione e smorzare ogni tipo di atteggiamento radicale che con l'Islam non c'entra niente». Vero. Lo sforzo è enorme.



E comunque, a Courcourennes, il kamikaze Omar in moschea non andava. «Non me lo ricordo proprio», assicura l'imam. C'è un gruppo di anziani arabi, a due passi dalla moschea, che giocano a carte e dicono: «La Francia é la nostra patria». Un discorso che lascia indifferenti troppi giovani. Ed è appunto l'indifferenza, dopo tanta tragedia e nei confronti di un dramma, ciò che sembrano nutrire tutti quelli che, ieri mattina, in un'altra banlieue, a Saint Denis, ore otto, hanno partecipato a questa scena.



IL BLITZ

Arrivano di corsa due macchine della polizia, più l'ambulanza per soccorrere subito eventuali feriti da blitz. Si fermano davanti al civico numero uno di via Blanqui, un portoncino rosso. Due poliziotti, mitra spianato, restano sull'uscio, altri quattro super-armati salgono nel palazzetto. Il tutto nel pieno del mercato arabo. La polizia é venuta a prendere un tipo sospetto. Uno dei terroristi? Boh. Non si capisce. Poi si capirà che potrebbe essere un fiancheggiatore. Ma intanto: i poliziotti in tenuta da combattimento sono su, e ancora non scendono, e contro i loro colleghi che piantonano il portoncino si scatena la protesta dei ragazzi del quartiere. «Andate via, provocatori», sono le grida che si sentono.



I poliziotti della Rèpublique si sarebbero meritati gli applausi, per questo intervento in nome della sicurezza di tutti, e invece vengono contestati da un pezzo di Francia nella Francia. Ma le France sono tante e si riconoscono sempre meno in un vincolo nazionale basato sulla comune adesione ai medesimi valori.



IL LICEO

Quelli che sono scritti anche sulla facciata del liceo di Courcourennes, libertè, egalitè, fraternitè, ma rischiano di fare la figura di vecchi precetti barbosi che la Francia stenta a trasmettere con la forza di cui poteva disporre un tempo, prima che si scatenasse la crisi della religione repubblicana che ha tenuto in sicurezza questo Paese per tanti decenni. Da Coucourennes nessuno o quasi andrá alle commemorazioni o ai funerali delle vittime parigine, nei prossimi giorni. E del resto la marcia repubblicana dopo l'attentato di Charlie Hebdo a gennaio scorso fu fantastica ma l'assenza delle comunità musulmane era evidente. E nasceva da un senso di rancore persistete e percepibile con semplicità in giro per i sobborghi del risentimento.



«Non riescono a capire che non c'è l'Occidente dietro i nostri mali», spiega a proposito delle persone che minimizzano o negano (con ragionamenti del tipo: «È solo un complotto contro l'Islam, vogliono farci apparire cattivi») Hocine Drouiche, vice-presidente della conferenza degli imam francesi, una delle menti più lucide del modo musulmano, mentre si avvia al Bataclan per unirsi al cordoglio. Ben sapendo che nelle più estreme periferie di Parigi, in queste ore, molti occhi sono rimasti asciutti.

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