Sepúlveda, le fiabe per tutti

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Venerdì 21 Novembre 2014, 06:07
LA TRILOGIA
Quando qualcuno, tanto per non evitare il luogo comune, gli chiede perché abbia scelto il mestiere dello scrittore, Luis Sepúlveda, il celebre cileno, 65 anni, risponde: «Scrivo per divertirmi. Scrivendo mi diverto davvero molto, e forse faccio divertire chi legge. Almeno mi piace pensare che la gente, con i miei libri, impieghi bene un po' del suo tempo. E poi la scrittura è un modo per rimanere in contatto con il mondo».
Lo scrittore ha ricevuto ieri a Novara, nel Palazzo della Prefettura, il premio speciale alla carriera «Terra degli aironi/Dante Graziosi», andato in passato, tra gli altri, a Claudio Magris, Sebastiano Vassalli, Alberto Bevilacqua. Nell'occasione ha presentato le sue tre fortunatissime fiabe riunite da Guanda nel libro Trilogia dell'amicizia (Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico e Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza, 327 pagine, 18.90 euro). Con i tre apologhi, il contatto con il mondo Sepúlveda, oggi residente in Spagna, nelle Asturie, lo mantiene senz'altro: risultati strepitosi di vendite ed evoluzioni dei tre racconti verso altri specifici, il cinema, il fumetto, la pittura.
La voglia di darsi alla favola è sbocciata, in Luis, parecchi anni fa, quando promise ai suoi figli (oggi ha anche dei nipoti) di scrivere storie sul rapporto che intercorre tra l'uomo e il suo ambiente. Con il tempo nacque Zorbas, un gattone nero, opulento, intimidente, che promette a una gabbianella agonizzante nel porto di Amburgo, coperta di petrolio, di allevare il suo pulcino e di insegnargli a volare. Pura e dura esaltazione dell'amicizia, trascinata in seguito negli altri due racconti, dove Sepùlveda dice di aver sviluppato la domanda, sempre legata ai bambini di casa “perché vuoi tanto bene ai tuoi amici?” «Un giorno me lo chiesero - spiega - e da quel momento mi misi in testa che dovevo rispondere nel modo migliore, il più vero e il più giusto. La risposta l'ho data con pagine che parlano del valore dell'amicizia, una delle più grandi ricchezze che un essere umano possiede nella vita».
ATTENTI AL TOPO
Nella seconda avventura, Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico, della quale Sepùlveda elogia la «somiglianza con un concerto da camera», entra in scena un topo. A Monaco, Max è cresciuto assieme al suo gatto Mix, che ama molto. Quando va a vivere da solo, naturalmente lo porta con sé. Mix, intanto, invecchia, perde poco a poco la vista. Un giorno sente venire dalla dispensa rumori sospetti e intuisce la presenza di un topo... «Mix impara - dice lo scrittore - ad annullare nell'amicizia l'atavica differenza che separa un gatto da un topo, capisce il valore della solidarietà e del rispetto, li pratica, nobilitandosi in essi. Proprio come dovremmo fare tutti quando troviamo, o abbiamo un amico».
LA LUMACA
Terza tappa, una lumaca e la bellezza dei tempi lenti. Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza è un'elegia che promuove la misura umana, il non correre, il gustare la vita poco a poco. «Io difendo il ritmo umano - dice Luis -, il tempo preciso, né più né meno, che serve per fare bene le cose. Per pensare, per riflettere, per non dimenticare chi siamo».
A una giovane lumaca senza nome non basta il prato in cui, con la famiglia, vive da sempre, non le è sufficiente essere parte del tranquillo gruppo dei suoi simili. Un gufo e una tartaruga l'aiutano allora a scoprire il mondo e, insieme, a rendersi conto che l'uomo, quel mondo, sta per rovinarlo definitivamente. Sepùlveda, a suo tempo, motivò così il nuovo lavoro: «La forma della favola consente allo scrittore di vedere in prospettiva. Pensiamo a La volpe e l'uva di Esopo, che per la prima volta ascoltai dalle labbra di mia nonna. La volpe tenta di afferrare un grappolo d'uva, salta, salta, salta ancora, ma non riesce a prenderlo. Quando dice «non mi piace l'uva», accetta una cosa per me tremenda: la rassegnazione. Capìi fin da allora, nonostante avessi pochi anni, che in prospettiva non mi sarei mai arreso, o al limite non mi sarei arreso senza lottare».
Il tema della lentezza ha coinvolto lo scrittore anche in altri discorsi, ad esempio lo slow food. «È un ritorno al piacere della cucina e del cibo. Ne ho parlato con Carlo Petrini affrontando l'argomento “felicità”. Non amo la velocità, la fretta, l'assenza di pause, l'affidarsi ciecamente alla società tecnologica. E qui vien fuori l'ecologista. Un telefono cellulare di ultima generazione fa più bella la vita? Non credo. Semmai ci mette in mano un oggetto realizzato con il coltan e il litio, minerali ottenuti a buon mercato solo sfruttando i paesi africani e latinoamericani che li possiedono».
LA SCRITTURA
E se qualcuno, tanto per non evitare il luogo comune, continua a voler sapere da lui come e perché sia diventato scrittore, può anche sentirsi rispondere con un aneddoto tante volte ricordato: «Da ragazzo, avevo 12 o 13 anni, divoravo il libri di avventura. Ma la mia vera passione era il calcio, giocavo nella squadra del mio quartiere. Una domenica - stavo andando al campo per l'incontro settimanale - vidi nella strada un camioncino carico di cose che portava nel barrio una nuova famiglia. Chiesi se avessero bisogno di aiuto. E all'improvviso mi apparve una ragazza: la più bella che avessi mai visto. Mi rimboccai le maniche tre volte, feci il trasloco quasi da solo. Non pensai più alla partita, ma a conoscere quella ragazza e poi a scrivere come ci ero riuscito».
Rita Sala
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