Intervento sbagliato al femore, ottiene maxi risarcimento in appello

Intervento sbagliato al femore, ottiene maxi risarcimento in appello
di Vincenzo Caramadre
3 Minuti di Lettura
Giovedì 29 Giugno 2023, 10:39 - Ultimo aggiornamento: 14:56

Cade, si rompe il femore e viene sottoposto ad intervento chirurgico, ma non torna più a camminare autonomamente: Asl condannata a pagare maxi risarcimento. E' la storia che vede protagonista un uomo del cassinate che, nei giorni scorsi, si è visto riconoscere un risarcimento di oltre 280 mila euro dalla corte d'appello di Roma, oltre alle spese legali per 45 mila euro.

La vicenda inizia nel 2013, quando l'uomo, di professione ferroviere, a fine turno mentre sta per scendere dal treno inciampa su un gradino e cade. Viene subito soccorso e trasportato in ospedale, dove a seguito di tutti gli accertamenti strumentali gli viene diagnosticata la frattura del femore. Come avviene in questi casi, la struttura sanitaria organizza l'intervento chirurgico. Nel giro di qualche giorno viene eseguito e dopo alcune settimana inizia la fase di riabilitazione, ma sin da subito l'uomo ha difficoltà a camminare, anche dopo il periodo entro il quale, normalmente, si torna alla piena attività e alla routine quotidiana.
Con il passare dei giorni il ferroviere dopo aver preso coscienza di non riuscire più a camminare autonomamente è definitivamente costretto ad utilizzare le stampelle.

Matura, così, l'idea che qualcosa, durante l'intervento, o forse dopo, non è andata come doveva. La sua vita, infatti, dopo quell'intervento al femore, non è stata più la stessa. Quelle che in precedenze erano attività e movimenti di routine, come legarsi le scarpe, coltivare l'orto e andare in bicicletta, diventano un triste ricordo.

IL PRIMO GRADO

A seguito di una più attenta verifica medica di parte si scopre che le problematiche traevano origine da una presunta non corretta esecuzione dell'intervento al femore, che sarebbe stato ripristinato con una errata angolazione con conseguenziali problemi anche la colonna vertebrale. Inizia, così, una causa civile presso il tribunale di Cassino nella quale tende a dimostrare il nesso di causalità tra l'intervento al femore e la sua situazione di salute. Da qui la richiesta di risarcimento danni per oltre 250 mila euro all'equipe chirurgica e alla Ausl di Frosinone. Ma alla luce di una perizia medico legale, il tribunale di Cassino conclude che non vi erano stati errori da parte dei medici e, dunque, rigetta la richiesta di danni.
Ma l'infortunato non si da per vinto e tramite gli avvocati Carlo Risi e Marilena Martini impugna la sentenza innanzi alla Corte di Appello di Roma. Si riparte daccapo. Il tribunale, dopo essersi avvalsa dell'apporto di un collegio peritale nominato ad hoc, ribalta la decisione di primo grado, riconoscendo la grave «imperizia» dei medici che lo avevano operato, condannandoli, in solido con l'Ausl di Frosinone, al risarcimento del danno in favore del paziente per circa 280 mila euro nonché al pagamento delle spese legali per 45 mila euro. Per l'uomo si chiude, così, una dolorosa vicenda che lo ha visto, suo malgrado, protagonista. Una storia che lo ha segnato per sempre.

I PRECEDENTI

Sono diversi i casi di presunti errori in corsia che approdano nelle aule di giustizia. L'ultimo in ordine di tempo ha riguardato una donna deceduta dopo aver contratto la polmonite bilaterale in ospedale, con la condanna della Asl a pagare 100 mila euro ai familiari. Oppure il caso dello scorso marzo della pensionata morta dopo l'intervento. I familiari sono stati risarciti perché il decesso della
72enne è stato ricondotto ad un'infezione ospedaliera. Il tribunale ha riconosciuto al marito e ai figli un milione di euro.
Vincenzo Caramadre
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA