Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Riforme strutturali/ I programmi dei partiti e i contenuti necessari

di Paolo Pombeni
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Giovedì 28 Luglio 2022, 00:08

Il deposito del programma elettorale è un obbligo previsto dalla legislazione vigente all’atto di deposito delle liste con le candidature. Cosa si intenda per programma è però questione più che vaga. Ovvio che si tratti degli impegni, spesso poco più che slogan, che i partiti assumono nella loro ricerca di consenso nelle urne. Il sentire diffuso li considera più o meno come le famose promesse da marinaio, non solo perché più volte disattese, ma perché nella loro vaghezza si possono sempre dichiarare mantenute anche quando non è vero. C’è però una questione ben più seria che andrebbe posta alla base del confronto fra partiti: il chiarimento di come ciascuno intende davvero affrontare i nodi strutturali che hanno pesato e pesano sullo sviluppo del nostro paese. E’ su una dialettica consapevole a fronte delle soluzioni possibili per questo genere di problemi che dovrebbe nascere quel tanto di legittimazione reciproca che consentirà poi un confronto politico fra governo e parlamento, fra maggioranza e opposizioni.

Altrimenti sarà il solito teatrino delle bandierine in cui si ammirano più che altro i più funambolici fra gli sbandieratori. Proprio la contingenza in cui ha operato il governo Draghi ha contribuito fortemente a far emergere nella loro radicalità tematiche peraltro note da tempo. Prendiamo la questione più emblematica che è quella della gestione del bilancio pubblico, sia in termini di entrate (tasse) che di uscite (spese). Se non si vuol soggiacere alle demagogie della flat tax, della pace fiscale, o all’opposto del “anche i ricchi piangano”, sarebbe necessario promuovere una vasta revisione in quel campo. Rifacciamoci ad un tema di giornata: si discute se con un intervento di emergenza dare un sostegno diretto ai redditi più bassi (altri 200 euro una tantum) o intervenire sull’Iva che tocca prodotti fondamentali, il che però avvantaggia anche chi ha redditi medi o addirittura alti. Detto in termini generali è la grande questione della scelta fra imposte dirette e imposte indirette, che si somma poi con quella del carico fiscale da mettere sul lavoro o sulla rendita, per citare alcune categorie all’ingrosso. Il tema dovrebbe essere cruciale in una fase che richiede di affrontare, e non solo come questione emergenziale, il contenimento delle diseguaglianze sociali e la promozione di un clima favorevole all’espansione di investimenti e consumi.

Aggiungiamoci, per andare sul versante della spesa, la revisione di un sistema di flussi di denaro pubblico verso i rivoli più diversi la cui giustificazione è spesso più che dubbia. Una volta la “spending review” era di moda, oggi non se ne parla più… Un altro tema che è emerso con forza a seguito della messa a terra del Pnrr è quello della efficienza della pubblica amministrazione, tanto a livello centrale (ministeri e quant’altro) quanto a livello periferico (regioni, comuni, ecc.).

Fra gli addetti ai lavori ci sono molti rilievi sui problemi che questa situazione fa nascere per l’impiego corretto dei fondi europei, i quali, ricordiamolo, sono soggetti a controlli. La situazione è come sempre a macchie di leopardo: ci sono centri di intervento che funzionano bene, altri che se la cavano, altri che sono zeppe nel funzionamento del sistema. Anche qui affrontiamo un tema a lungo dibattuto sia in generale sotto l’aspetto del riordino dell’amministrazione centrale (si pensi solo ai meccanismi di autorizzazioni incrociate e di sfruttamento della giungla del diritto amministrativo), sia in specifico con l’ottica dei poteri affidati, ma anche talora non affidati, agli enti locali.

Giusto per dovere di cronaca ricordiamo che con la gestione del Pnrr, risorsa fondamentale per far fare un salto di qualità al nostro sistema economico e sociale, avremo a che fare fino al 2026, in pratica fino quasi al termine della legislatura che si aprirà ad ottobre. Vogliamo far almeno un cenno al quadro del tribalismo corporativo che si è andato consolidando nei decenni passati? La vicenda della legge sulla concorrenza ci ha fornito un esempio evidente di come sia difficile muoversi in un’ottica di paese europeo quando si ha a che fare con un quadro in cui tutto è diventato diritto acquisito, anche quello che è derivato da contingenze fortunate e non ripetibili. Non si creda poi che stiamo parlando solo di settori in fondo marginali. Tanto per fare un esempio la questione del passaggio dai motori a combustione a quelli elettrici creerà fra non molto un altro problema settoriale, ma di portata che non si potrà sottovalutare e la continua evoluzione delle tecnologie prevedibilmente imporrà altre tematiche più o meno simili.

Tanto per citarne una, il conflitto fra l’espandersi del commercio on line dei grandi gestori e la sopravvivenza non solo del piccolo commercio, ma anche di quello medio. Un serio dibattito politico dovrebbe indirizzare l’attenzione dell’opinione pubblica sui grandi nodi strutturali che abbiamo davanti in un’età di transizione come è questa. Rincorrere le paure e le angosce per il futuro serve forse a raccattare voti nell’immediato, ma non a dar vita ad una legislatura che possa guidare il paese fuori della complessa congiuntura che abbiamo davanti. Non fa poi molta differenza che quella rincorsa sia esercitata promettendo che si farà in modo che non cambi nulla, anzi torneremo ad un mitico buon tempo antico (il massimalismo di destra), oppure vendendo utopie su volontaristici salti degli ostacoli grazie a qualche miracolo (il massimalismo di sinistra). E’ tempo di razionalità e di confronto realistico con quanto gli italiani hanno davanti. Bisogna iniziare a parlarne in campagna elettorale perché sia possibile avere una legislatura costruttiva.

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