Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Le amministrative/ La corsa elettorale e l’esigenza di stabilità

di Paolo Pombeni
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Martedì 22 Novembre 2022, 00:18

L’Italia non ha qualcosa di simile alle elezioni di midterm negli Usa e non ha il sistema presidenziale americano. Però abbiamo uno stillicidio di elezioni “amministrative” che con alta frequenza si inseriscono nel corso di ogni legislatura. Inevitabilmente sono occasioni in cui, salvo proprio il caso di paeselli più o meno sperduti, si traggono riflessioni e auspici sulla tenuta o meno della maggioranza che sostiene il governo in carica. Quando queste maggioranze traballano o sono il risultato di cambi di equilibri generali su cui è aperta una discussione, la voglia di leggere nelle viscere delle urne amministrative il futuro politico cresce in maniera spasmodica.
Non occorre spendere molte parole perché il lettore capisca dove andiamo a parare. Nel 2023 ci attendono cinque elezioni regionali piuttosto significative per vari motivi. I casi che sono sotto gli occhi di tutti sono Lombardia e Lazio: la prima è la regione cuore del sistema economico italiano, la seconda la sede del sistema politico-istituzionale. Alla prova elettorale andranno nel corso del prossimo anno anche Molise, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Non sfuggirà che quattro su cinque in questo momento sono governate dal centro-destra, poiché solo il Lazio è retto da una coalizione di centro-sinistra.

È chiaro che la tenuta o meno dell’attuale maggioranza di governo al vertice delle regioni così come la possibilità per le opposizioni di conservare quello laziale ed eventualmente di strapparne qualcuna delle altre agli avversari assume una rilevanza niente affatto secondaria a fronte della stabilizzazione o meno dell’attuale compagine governativa. Aggiungiamoci che in tre delle regioni in questione, Lombardia, Friuli, Trentino, è al potere la Lega: nella prima e nella seconda dal 2018 (con Maroni e poi con Fontana; nel Friuli con Fedriga), nella terza con una conquista più recente avendola strappata alla sinistra solo nella legislatura in corso. 
Non è un dato banale data la situazione in cui si trova il partito di Salvini, che deve misurarsi col successo che in tutte le regioni ha avuto FdI nella tornata di elezioni nazionali, per non dire della debolezza ovunque di FI che, specie in Lombardia, è più che in affanno. C’è di conseguenza da attendersi un confronto piuttosto aspro fra le componenti della maggioranza governativa, perché, lo si voglia o meno, i conti sulla tenuta di ciascuna delle sue tre componenti principali si faranno inevitabilmente.

Non è che le cose vadano meglio nel complicato e poco meraviglioso mondo delle opposizioni. Nell’unica regione in cui le opposizioni unite sono al potere, cioè il Lazio, quella coalizione è già saltata. Nelle altre non sembra riescano a far fronte comune, salvo forse in Trentino dove è in atto un confuso tentativo di mettere insieme un campo “larghissimo” (col civismo) senza però che si riesca a trovare un leader in grado di federarlo e di guidarlo. Dunque anche il variegato mondo delle opposizioni è percorso dalla concorrenza reciproca e se, come disse una volta Prodi, competition is competition, quando diventa una lotta di tutti contro tutti non è che porti grandi frutti.

Si potrebbe addentrarsi nel complicato labirinto delle correnti, tendenze, tribù che compongono ciascuna delle forze in campo e ne trarremmo un quadro in cui risulta difficile trovare le tracce di un disegno politico che non sia semplicemente quello di rinserrare al massimo possibile le fila dei pretoriani di ogni fazione o frazione che dir si voglia senza alcuna considerazione per un qualche disegno di prospettiva. Per coprire queste in fondo molto modeste ed interessate pulsioni, tutti ricorrono all’esaltazione della “identità”, cioè di quello spirito di fazione che dovrebbe impedire le tentazioni degli aderenti ad abbandonare i campi trincerati di ciascuna: e chi se ne frega se così non si riesce a costruire un discorso di riferimento generale su cui sia poi possibile confrontarsi senza integralismi che bloccano ogni ricerca di consensi più ampi.

Si può ridurre tutto questo ad una questione in fondo marginale che interessa ambiti “amministrativi”? La domanda non va neppure posta tanto suona retorica considerando i notevoli ambiti di intervento e di potere che hanno le regioni (fra il resto Friuli e Trentino sono anche a statuto speciale; la Lombardia punta alla autonomia differenziata). C’è però qualcosa di più su cui appuntare l’attenzione: la lotta elettorale per queste prove regionali ha una importanza tale da ricadere pesantemente sulla gestione della politica nazionale, sia a livello di maggioranza che di opposizioni. Vediamo anche troppo bene che questa follia delle “identità” sta producendo comportamenti che esasperano i problemi, spingono alla politica spettacolo (e non di rado alla demagogia), impediscono che si affrontino orizzonti di coesione nazionale davanti ai grandi problemi che il paese ha davanti. Ogni politico di un qualche peso corre ad esternare in continuazione per catturare gli istinti primordiali dei suoi fedeli nella speranza che questi poi li trasmettano ai loro contesti sociali.

Nel governo non si riescono a frenare le fughe nella riproposizione delle parole d’ordine (o supposte tali) da cercar di travasare in qualche iniziativa legislativa o comunque di intervento. Nell’opposizione vige la lotta fra le componenti e nel caso del PD anche fra quelle interne al partito, del tutto indifferenti alla ricerca di conquistare ampie basi di sostegno (cosa che, notoriamente, non si fa cedendo agli integralismi e agli estremismi).
Non è quello di cui ha bisogno una nazione che si trova a confrontarsi con un contesto molto difficile sia a livello socio-economico che di collocamento in relazioni internazionali in cui sta crescendo lo spirito di competizione fra i diversi soggetti: con un certo desiderio da parte di qualcuno di ridimensionare un’Italia che con Draghi aveva conquistato un posto di rilievo

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