Paolo Pombeni
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Il caso Germania/L’Europa e gli stereotipi che sono duri a morire

di Paolo Pombeni
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Mercoledì 21 Settembre 2022, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 22 Settembre, 00:03

L’esternazione del presidente della Spd Lars Klingbell che si è pronunciato a favore del Pd e del suo leader Letta nella competizione con la Meloni definendola “postfascista” (e pericolosa) ha suscitato molte reazioni nel nostro Paese, grossolanamente divise fra chi si è lamentato per l’ingerenza straniera nella nostra competizione elettorale e chi ha proclamato che non ci si può meravigliare se all’estero si esprimono preoccupazioni per la crescita di un partito di destra più o meno radicale (fino a compiacersi dell’uso del marchio postfascista che si crede faccia comodo nella polemica elettorale).


Per capire bene la questione bisogna prescindere dallo schierarsi nelle opposte tifoserie, perché la faccenda è più complicata dell’esternazione di un leader politico sulle vicende di un altro Paese. Da questo punto di vista nulla di nuovo. In Italia i politici si sono schierati pro o contro Trump vs Hilary Clinton e poi Joe Biden, Macron vs Le Pen, e si potrebbe continuare. La Meloni ha auspicato il successo della destra di Vox in Spagna, l’esponente della Cdu Weber è venuto a portare il sostegno a Berlusconi, Melénchon a sostenere De Magistris, e anche qui si potrebbe andare avanti.


Il caso a cui ci riferiamo è però diverso. In primo luogo, perché non si è trattato dell’uscita occasionale di un esponente della socialdemocrazia, ma di un suo intervento in rapporto diretto con la “visita” ricevuta a casa sua  dal segretario del Pd, il che implica non l’esternazione di una opinione, legittima per quanto discutibile, ma una azione a supporto di un protagonista della lotta elettorale in corso in Italia, il che la configura come un’entrata senza titolo (e sollecitata) nel nostro campo di gioco.


In secondo luogo, perché tutto è avvenuto in un confronto non solo con un dirigente di partito, ma col cancelliere tedesco in carica. È vero che l’incontro è avvenuto in una sede di partito e non in quella del governo, che Scholz non ha parlato di postfascismo, ma solo di preoccupazioni per una possibile vittoria di una coalizione di destra, ma è altrettanto vero che non poteva spogliarsi del suo ruolo istituzionale che lo porterà necessariamente ad interagire col nuovo governo espresso dalle urne, quale che esso sia. Un premier accorto dovrebbe sapere che è interesse del suo Paese ed è anche doveroso avere un buon rapporto reciprocamente rispettoso con i suoi colleghi: se dovrà dissentire con loro lo farà attorno a problemi reali, non a partire da pre-giudizi ideologici.


Proviamo a spiegarci con un esempio. Come avrebbero reagito Scholz e l’opinione pubblica tedesca, se Letta, o un altro leader italiano gli avessero detto: capisco bene le sue perplessità sul contrasto alla politica energetica di Putin visto che lei viene dallo stesso partito di Gerhard Schröder, che è ancora oggi un pezzo grosso di Gazprom (e l’Spd non ha voluto sanzionarlo per questo)?


Affrontando la questione in termini più generali ci stupisce la grossolanità di analisi sulla situazione politica italiana ridotta al tema del postfascismo nella destra.

Si capisce che essendo noi un Paese preso in considerazione più che altro per aspetti folkloristici, quando ci considerano siamo rimasti legati al fenomeno della nostra storia contemporanea più noto, che è, purtroppo, il fascismo.

Se invece ci fosse una considerazione di più ampio respiro si potrebbe anche ricordare che la nostra democrazia, pur giudicata così scassata, è riuscita a modificare la collocazione di un partito che in origine era davvero un revival del fascismo come il Msi, portandolo in vent’anni a diventare un partito di governo che il fascismo ripudiava, senza che questo abbia prodotto sconquassi, ha potuto modificare un partito comunista forgiato dalla III Internazionale e poi dal Cominform in una formazione sempre più “socialdemocratica” e infine scissa da quell’origine, ha avuto come partito pivot della nostra ricostruzione democratica una forza come la Dc che ha saputo resistere alle sirene dell’integralismo clericale essendo a lungo una forza di sviluppo democratico.

Peraltro, diciamolo di passaggio, neppure noi a casa nostra siamo orgogliosi e rivendichiamo questi risultati del nostro sistema costituzionale…
Certo buona parte delle classi politiche di oggi, che si formano le idee sui dibattiti fra pasdaran delle diverse fedi così come si svolgono sulla stampa e alla tv (purtroppo ulteriormente sviliti dall’accesso generalizzato consentito per chiunque ai social media), fatica non poco a liberarsi dall’obbligo di piantare in continuazione bandierine pseudo-ideologiche anziché confrontarsi sui problemi complicati, talora drammatici di questa fase storica.


Detto questo, non ci si deve meravigliare se l’attenzione al confronto politico che avviene nei vari Paesi, specie in quelli che si collocano in un’area comune, sia quella europea o quella atlantica, è generalizzata e non si ferma ai confini delle nazioni. Isolazionismo, sovranismo, e roba simile non sono materia di questo nostro tempo, in cui le interconnessioni sono molteplici e reciprocamente condizionanti (ci piaccia o meno). Si può però chiedere di essere presi in considerazione sulla base di una conoscenza vera e non di stereotipi di comodo. Solo così si costruiscono nelle diverse aree di larga appartenenza, comunità di destini solidali fra loro e non ci vuole gran sforzo per capire quanto ce ne sia bisogno.


Ovviamente quello che noi esigiamo dagli altri dobbiamo applicarlo anche al nostro modo di interagire. Difficile negare che ce ne sia bisogno, perché troppo spesso ai pregiudizi degli altri verso di noi corrispondono i nostri verso di loro.

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