Ferdinando Adornato
​Ferdinando Adornato

Voglia di stabilità / La nostalgia degli elettori per la politica di un tempo​

di ​Ferdinando Adornato
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Mercoledì 10 Aprile 2024, 00:00
I nostri leader politici, specie in questi tempi di baruffe elettorali, dovrebbero fermarsi a riflettere su un singolare dato statistico. Tutti i più recenti sondaggi (l’ultimo di qualche giorno fa) segnalano come una larga percentuale dei cittadini italiani, quasi il 40 per cento, esprima una dichiarata nostalgia per i partiti di un tempo e segnatamente per il centro della Democrazia Cristiana.
E’ facile immaginare che si riferiscano all’epoca d’oro della Prima Repubblica, e non certo alle degenerazioni che ne hanno segnato il tramonto. In ogni caso si tratta di un dato assai sorprendente. E significativo. Cosa racconta infatti questa nostalgia? C’è chi la interpreta solo come il bisogno di riaffermare i valori cristiani ormai oscurati dalla dominante secolarizzazione. In parte è certamente così, visto anche il consenso al centrodestra meloniano di “Dio, patria, famiglia”.
Eppure non si sfugge alla sensazione che il “messaggio nella bottiglia” degli italiani sia più direttamente politico, assumendo i tratti di un monito sul fallimento della Seconda Repubblica. Non c’è dubbio, infatti che tale nostalgia metta in primo luogo in discussione la credibilità degli attuali attori politici.
Nella Prima Repubblica, al di là di inevitabili eccezioni, chi intraprendeva la vita politica (maggioranza o opposizione che fosse) metteva in campo passione, competenza, visioni del mondo, rispetto per gli avversari, equilibrio istituzionale: tutte cose apprese attraverso consolidati circuiti di formazione delle classi dirigenti, che finivano per restituire una certa aura di sacralità alla vita politica. Intendiamoci: non si possono dimenticare i gravi difetti sistemici che hanno a lungo ostacolato la nostra modernità, né la corruzione della politica politicante. E però: come non nutrire nostalgia per quei tempi di giganti (da De Gasperi a Moro, da La Malfa a Craxi a Berlinguer) di fronte al dilettantismo di oggi, alla casualità e all’improvvisazione delle carriere politiche, alla patologica abitudine all’invettiva priva di ogni rispetto per gli interlocutori? La politica è da sempre, e inevitabilmente, anche lotta per il potere. Ma quando diventa “solo” lotta per il potere, come testimoniato in questi giorni, non può certo meritarsi le simpatie dei cittadini. Che, appunto, un tempo votavano intorno al 90 per cento. Oggi faticano a raggiungere il 60.
Attenzione: la crisi di credibilità della classe politica è legata anche alla scomparsa di partiti degni di questo nome. E anche qui la causa va ricondotta alla fine della Prima Repubblica. Il grande crack di quasi tutti i partiti avrebbe dovuto consigliare un serio lavoro di ricostruzione. Si sarebbero dovuti immaginare i nuovi partiti del XXI secolo: più leggeri ma non meno radicati, più veloci ma non meno democratici. Nulla di tutto ciò. Il campo è stato occupato da qualche lifting e organizzato dal marketing scegliendo la strada più sbrigativa: quella del “meno-partito-possibile”, fino all’estremo del “partito liquido”. Nessuno (salvo Casaleggio) ha mai osato teorizzare l’approdo di una democrazia senza partiti. Eppure proprio questo sembra il cammino intrapreso. Non a caso a dominare il discorso pubblico è stata l’antipolitica. Risultati? La decadenza della qualità del Parlamento con la selezione affidata a meccanismi oligarchici, la latitanza di sedi reali del dibattito politico e culturale, l’aggravarsi della crisi tra rappresentanza e territorio. Abbiamo creato una frenetica girandola di leader senza partiti e dalla claudicante formazione. La qual cosa ha determinato, per reazione, il successo di una figura pienamente politica come Giorgia Meloni.
Insomma, si è affermato nel tempo una sorta di leaderismo senza partiti. Eppure la domanda-chiave dell’attuale tempo storico, che riguarda tutto l’Occidente, non attiene tanto all’esistenza dei leader quanto, piuttosto, alla forza del gioco di squadra. La produzione di “governance” attraverso la piena utilizzazione di una pluralità di competenze. Nell’era globale il target delle organizzazioni moderne, degli Stati come dei partiti, delle aziende come delle banche, non è l’esaltazione del solista, ma la messa in campo di una vincente rete di specialismi. C’è bisogno di partiti-squadra, non di partiti-leader. In Italia, allora, si doveva (e si deve ancora) andare “oltre la Prima Repubblica” non fare di peggio. Perciò non c’è da stupirsi che, anche di fronte alle attuali vicende pugliesi, qualcuno ricordi con nostalgia il tempo in cui di lì passava un signore di nome Aldo Moro.
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