Paolo Pombeni
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Compensazioni/ L’autonomia differenziata e le ricadute sulle Regioni

di Paolo Pombeni
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Giovedì 22 Dicembre 2022, 00:18

Se c’è un tema che va affrontato con metodo e senza indulgere alla tentazione di piantare bandierine è proprio quello dell’autonomia differenziata per le regioni italiane. È comprensibile e rientra nella strumentazione per una migliore gestione delle competenze in vari ambiti dell’azione pubblica che ci si avvalga di quella che si definisce la “devoluzione”, cioè l’attribuzione alle Regioni di compiti che sono in capo allo Stato in quanto si ritiene che a quel livello ci siano capacità e opportunità per ottenere risultati migliori.

Non si deve però credere che si tratti di interventi che non incidono sugli equilibri e sulla stessa struttura costituzionale di una nazione. È banale ricordare che si tratta di un tema che coinvolge l’eguaglianza che deve essere garantita a tutti i cittadini a prescindere dai loro luoghi di residenza (fra l’altro mobili nel contesto della società attuale) e che incide sulla distribuzione delle risorse che sono sì generate in parte nell’ambito delle varie collocazioni territoriali, ma che dipendono sempre anche dal loro essere parte di un contesto generale che le tutela e le agevola. Di conseguenza non si può immaginare che una trasformazione che incide sulla fisionomia del nostro Stato-nazione possa essere promossa con interventi legislativi che non hanno valutato tutte le possibili ricadute e, nel caso, preso in esame i necessari meccanismi perequativi, facendola invece nascere, come ci pare più che adombrato in qualche “bozza” che circola, da una specie di negoziato su basi paritarie fra il governo centrale e i governi regionali interessati saltando il confronto con il sistema della rappresentanza politica (il Parlamento) e con un percorso di produzione che sia più pesante e garantito di quello della legislazione ordinaria (e tacciamo sulla tentazione a promuovere le cose con Dpcm, cioè con atti sostanzialmente amministrativi che non devono neppure confrontarsi con vincoli come l’indicazione delle coperture finanziarie per quanto viene auspicato).

Una implementazione delle capacità di governo nella complessa congiuntura attuale non può che essere vista con favore e in ciò rientra anche lo sfruttamento delle capacità di azione che hanno maturato quelle Regioni le quali hanno goduto di importanti condizioni di sviluppo. Ciò che non sembra accettabil,e se non si vuole mettere in crisi la tenuta degli equilibri nazionali e delle solidarietà che vi debbono essere connesse, è che questo significhi mettere in crisi, marginalizzare delle regioni che per un complesso di ragioni non si trovano in condizione di gestire funzioni e compiti che vengono deferiti alle autonomie differenziate.
Se si passa dal decentramento dei poteri, che però rimangono parte del sistema costituzionale nazionale, ad una confusa creazione di “repubblichette” a cui sarebbe consentita una indipendenza da quel contesto non si fa davvero l’interesse del Paese.

Il quadro che va mantenuto è l’appartenenza di tutti i corpi regionali, che sono stati creati dallo Stato e che non esistono indipendentemente da questo, al medesimo contesto nazionale, in modo che i cittadini possano essere davvero “eguali” nella sfera pubblica a prescindere da dove sono geograficamente collocati, per periodi più o meno lunghi e costanti della loro vita.

La solidarietà di tutte le articolazioni dello Stato nel promuovere al massimo possibile lo sviluppo di tutto il Paese e il benessere di tutti i suoi membri è un bene costituzionale che deve essere preservato e implementato con il massimo sforzo. Non si tratta dunque di sostenere astratte eguaglianze, di fissare sulla carta dei mitici “Lep” senza porsi il problema di come rendere il tutto reale con un cammino che sia adeguato agli obiettivi. Per raggiungere questo fine è necessario studiare con cura come si possa riarticolare l’organizzazione del nostro sistema di poteri in modo che tutte le sue articolazioni possano concorrere a quel “bene comune” che deve rimanere il traguardo di ogni azione pubblica, senza creare squilibri e differenze fra le diverse componenti.

L’introduzione di un sistema di autonomie regionali differenziate non deve significare la creazione di zone di privilegio, ma piuttosto avviare la complessiva ricerca di un nuovo assetto di distribuzione dei poteri che favorisca tanto chi ha a disposizione risorse più consistenti, sia da un punto di vista di capitale economico che di capitale sociale, quanto chi deve, grazie ai nuovi assetti, essere posto in grado di superare i molti problemi che ha accumulato nel tempo. Se ci si muoverà su questa linea improntata alla trasparenza si farà davvero una riforma che fa procedere il nostro Paese sulla via di uno sviluppo che recuperi dimensioni di equità distributiva e che porti un progresso generale a fronte di tempi che vanno facendosi sempre più difficili. 
Se invece ci si invischia nella promozione di slogan e di bandierine superstiti di un passato non molto riflessivo (per non dire di peggio) si finirà per mettere a rischio il nostro impianto costituzionale e per manomettere un bene come la coesione nazionale, bene delicato ed essenziale per affrontare le molte sfide che abbiamo davanti.

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