Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Verso l’esecutivo​/ La sfida dell’Economia e la scelta dei migliori

di Paolo Pombeni
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Giovedì 20 Ottobre 2022, 00:22

Se volessimo forzare un po’ i toni, verrebbe da dire che la mitica corte di Bisanzio, famosa per gli intrighi e le lotte intestine, doveva essere un idillio a confronto di come si sono svolti e si stanno svolgendo gli incontri per varare il futuro governo (e le varie tipologie di “incidenti” che generano). Eppure la situazione è tale da consigliare a tutti la massima cautela: perché ricordare ogni giorno il caro bollette, l’inflazione che riduce i salari, il peso del nostro debito pubblico non ha molto senso se poi si crede che la soluzione stia nel fare prove di forza per mettere Tizia o Caio nel tal ministero, nel conquistare una citazione nei Tg e nei talk show pronunciando frasi provocatorie e urticanti, nell’esibirsi in spericolate proposte demagogiche tanto per non smentire il costume indossato nella propaganda elettorale.

Contro chi si indirizza tutto questo bailamme? Certamente contro Giorgia Meloni che si vorrebbe ridimensionare ancor prima che possa caricarsi del peso (non poco lieve) di guidare il governo. Però, più sottotraccia, si intravede il tentativo di condizionare la guida del ministero dell’Economia, centrale in questa fase perché è al tempo stesso il regista dell’uso dei nostri strumenti di intervento e l’argine contro le fughe nella finanza allegra. Per chi vuole guardare oltre la cortina delle baruffe, è infatti possibile intravvedere che l’obiettivo non esplicitato di molte delle manovre in corso è il candidato alla poltrona del Mef, Giancarlo Giorgetti. Il personaggio è competente, dunque non si fa abbindolare dalle fughe nell’utopia. Ha lavorato a fianco di Mario Draghi, di cui ha condiviso linea e metodologia (la famosa “agenda”) ed è una bella carta di presentazione. Non è preda di una smodata ambizione di potere, tanto che non ha affatto sgomitato per prendersi la “pesca” del Mef, anzi ne avrebbe fatto volentieri a meno. Tutte cose che da un lato lo rendono più che sospetto ai capi corrente, ai cerchi più o meno magici e roba simile, e che dall’altro non facilitano un loro attacco alla sua figura: è un tecnico, ma è anche un politico, ha una posizione qualificata in uno dei partiti chiave della maggioranza di destra-centro, possiede la virtù, oggi davvero rara, di astenersi dal partecipare alla corrida delle esternazioni continue.

Ora, non è difficile capire che, per coloro che aspirano a costruirsi un nido nel cambiamento di equilibri politici che è in corso, la presenza al ministero-chiave dell’Economia di chi può essere un guardiano dell’interesse generale costituisce un notevole ingombro. Per una duplice ragione: perché con lui ci sono le premesse per poter consolidare la capacità di “governo” del nuovo esecutivo e di conseguenza della premier che lo dirigerà. E perché si è consapevoli che non allargherà i cordoni della finanza pubblica per permettere che si piantino un po’ di bandierine demagogiche tali da compromettere la tenuta del sistema.
L’una e l’altra prospettiva vengono preventivamente messe in questione con mosse sparse. Rientrano nella prima tipologia la presentazione a scopo puramente provocatorio di disegni di legge come quello sulla natura giuridica del feto, le dichiarazioni sulle sanzioni alla Russia che ci fanno male, le continue manovre sulle candidature ai ministeri giusto per segnare il peso di questo o quel clan. Rientrano nella seconda i rilanci di interventi assolutamente improponibili in questa fase di travagli non solo italiani delle finanze pubbliche come sono le solite storie sulla flat tax e sulla possibilità di tornare ad un sistema pensionistico molto generoso.
Si capisce bene che il momento previsto da tutti nei mesi passati come estremamente delicato, anche drammatico da vari punti di vista, sta arrivando e che dunque non c’è tempo per dedicarsi ai giochi della politica politicante.

Che questa sia presente nell’avvio di una legislatura può anche essere una normalità: ci sono cariche da distribuire, conquiste da consolidare, arretramenti da riparare. Vale per quei singoli che si sono visti frustrati nelle loro ambizioni, vale per le forze politiche le quali devono rielaborare quanto hanno guadagnato o perso nelle urne. Non si può però permettere che la politica politicante sostituisca del tutto la politica del governare, che implica un confronto con la congiuntura attuale e una prospettiva per il futuro del Paese.

Verrebbe voglia di far mettere in bella mostra nelle sedi dei confronti politici la frase che una volta si trovava negli annunci commerciali quando si dichiarava la disponibilità ad illustrare le offerte: “Astenersi perditempo”. Davvero la situazione richiede che il Paese abbia un governo, sperabilmente di livello, perché proprio l’esito così chiaro del confronto elettorale lo impone come dovere ai vincitori, ma anche alle opposizioni che per fare proficuamente il loro lavoro hanno bisogno di quella controparte. Tutti dovrebbero convenire che il perno del governare starà questa volta più che mai nella gestione della sfera economica con tutta la sua complessità. L’esperienza di Draghi ha mostrato quanto l’Italia abbia guadagnato dall’avere in quei ruoli personalità autorevoli e rispettate. Con un passaggio di testimone a Giorgetti si manderebbe il messaggio, all’interno e all’esterno, che è quella la strada che si vuol continuare a percorrere. E poiché l’economia marcia anche sulla fiducia nel futuro, non è il caso di sottovalutare quanto convenga far circolare un simile messaggio.

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