Luca Ricolfi
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Il caso Pioltello/ La difficile alchimia per formare una classe

di Luca Ricolfi
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Venerdì 5 Aprile 2024, 00:27

La vicenda della scuola di Pioltello, che il 10 aprile resterà chiusa per venire incontro agli studenti stranieri di fede islamica, ha avuto almeno un merito: quello di sollevare il problema delle classi con un numero eccessivo di stranieri (in quella scuola sono il 43%). C’è chi ha voluto sostenere che questo non è un problema, perché la maggior parte dei bambini con cittadinanza straniera iscritti nella scuola dell’obbligo sono nati in Italia e parlano la nostra lingua. E c’è chi invece ritiene che porre un limite (del 20%, o del 30%) alla percentuale di bambini stranieri sia una misura ragionevole.

Ma quanto pesano gli studenti stranieri nella scuola dell’obbligo? E quante sono le classi con un numero elevato di stranieri? In terza media, nell’ultimo anno scolastico concluso (2022-2023), gli alunni stranieri erano circa l’11%. Quanto alla composizione delle classi, nel 31% dei casi il problema non sussiste, perché sono interamente composte da italiani; nel 30% dei casi il peso degli studenti stranieri è molto contenuto, in quanto inferiore al 10%; nel 21% dei casi il numero di stranieri è compreso fra il 10 e il 20%, dunque al di sotto della soglia-Salvini (20% di ragazzi stranieri). Resta un 18% di situazioni problematiche (più del 20% di stranieri), ma solo nell’8% viene superata la soglia-Valditara (30%). Infine, le classi in cui gli alunni stranieri sono più numerosi di quelli italiani ospitano circa l’1% del totale della popolazione studentesca. 

Dunque, anche accettando la linea severa di Salvini, si tratterebbe di intervenire in meno di 1 una situazione su 5. Ma è possibile? E, soprattutto, sarebbe utile?
A mio parere intervenire in modo incisivo è quasi impossibile, perché è la distribuzione geografica delle famiglie che rende difficile creare ovunque classi bilanciate. Non si può chiedere ai ragazzi (italiani e stranieri) di iscriversi a scuole più lontane da casa solo per rispettare quote decise a tavolino.
Sull’utilità, invece, il discorso è molto più complesso.

A mio parere sbaglia chi, in nome dell’inclusione o dell’accoglienza, minimizza il problema. Ma sbaglia anche chi pensa che il problema siano gli stranieri in quanto tali. Il vero problema delle classi con tanti stranieri è analogo al problema delle classi con troppi maschi, o con troppi ragazzi di umili origini. E consiste nel fatto che i risultati della classe, e la determinazione dell’ insegnante di completare fino in fondo il programma, dipendono in modo cruciale dalla composizione della classe. Se la maggior parte degli allievi hanno difficoltà, l’insegnante-tipo rallenta, e così finisce per penalizzare anche i ragazzi che avrebbero la possibilità di raggiungere livelli elevati di apprendimento. Il contrario succede nelle situazioni in cui la maggior parte degli allievi non ha problemi familiari o lacune pregresse: lì l’insegnante è in condizione di completare il programma, e qualche volta persino di andare un po’ oltre. 

Ed eccoci al punto cruciale. Se si vuole evitare che la massiccia presenza di determinate categorie di studenti penalizzi quel che succede entro una classe, non è solo alla quota di stranieri che dobbiamo fare attenzione, ma anche alla quota di maschi e alla quota di studenti provenienti dai ceti bassi. Una classe ben bilanciata è una classe in cui i tre fattori di rischio fondamentali – essere straniero, essere maschio, essere di condizione sociale modesta – non si cumulano in modo eccessivo. L’analisi dei risultati scolastici rivela che tutti e tre i fattori esercitano effetti negativi sui risultati finali della classe. 
Ben venga, dunque, una rinnovata attenzione alla composizione delle classi. Ma non fissiamoci sull’idea, empiricamente errata, che a rallentare il ritmo di apprendimento di una classe sia solo l’eccesso di studenti stranieri. Concentriamoci, piuttosto, sul problema dei maschi e del loro scarso impegno scolastico: forse il più trascurato fra i guai della scuola.
 

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