Imprese, eredità o proprietà: il passaggio generazionale. Cedere il passo prima che sia tardi

Imprese e proprietà: il passaggio generazionale. Cedere il passo prima che sia tardi
di Mario Baroni
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Mercoledì 25 Agosto 2021, 09:00 - Ultimo aggiornamento: 26 Agosto, 12:59

Meglio pensarci per tempo. Il problema non riguarda solo i grandi patrimoni, chi possiede un’impresa di successo, o una cospicua dote di proprietà immobiliari. Il tema del passaggio generazionale riguarda anche chi gestisce una pizzeria o deve dividere un’unica proprietà immobiliare in più di due eredi. L’eredità è una questione che si affronta in vita; nel pieno della vita attiva, oltre che nel pieno delle facoltà mentali. Eppure, solo una successione su dieci in Italia è definita da un testamento. Come se pensare a “quel momento” finisse per avvicinarlo. Un passaggio generazionale non programmato e non organizzato in vita è causa di evitabili oneri tributari, di comunioni ereditarie indesiderate, di incomprensioni e contenziosi tra gli eredi.

Per realizzare le volontà di chi intende programmare il passaggio generazionale, occorre disporre di una valutazione precisa della composizione del patrimonio e delle relazioni familiari che condizioneranno la successione, organizzandola in tempo, in modo tributariamente adeguato e civilisticamente corretto.

Anche in questo caso la gestione del proprio patrimonio, piccolo o grande che sia, richiede un aiuto, una consulenza professionale, capace di affrontare tutte le questioni che compongono le complessità del momento.

Un private banker, un consulente finanziario ben attrezzato, un family officer per le realtà più complesse e più cospicue. Il passaggio generazionale è un processo pluriennale in cui entrano in gioco numerosi fattori: fiscali, amministrativi, giuridici. Non vanno poi sottovalutati i rapporti psicologici tra le persone coinvolte che vedranno sovrapporsi la realtà familiare con il trasferimento di una parte della proprietà. E’ vero che la questione della transizione del patrimonio si propone non solo quando di mezzo c’è un’impresa (piccola o grande, industriale o commerciale), ma la situazione più comune che si deve affrontare è quando il passaggio riguarda un patrimonio che non è fatto solo di denaro, ma di competenze e di intrecci produttivi e di mercato. Il passaggio generazionale è il momento più importante della vita di una azienda familiare; in questo momento si consuma il graduale processo di trasferimento da una generazione all’altra non solo della proprietà, ma anche e soprattutto del patrimonio di know how, competenze e relazioni acquisite in molti anni di attività. Si tratta di un processo che “dovrebbe” iniziare quando i figli e le figlie sono ancora in giovane età, e il padre, la madre, o comunque il titolare dell’impresa è ancora nel pieno delle sue forze. Il passaggio dovrebbe continuare, di norma, con un lungo periodo di convivenza tra genitori e figli e figlie, che termina quando la nuova generazione, pienamente integrata nell’attività caratteristica, assume il controllo dell’azienda con un nuovo assetto proprietario in capo ai successori e un nuovo assetto nel governo e nella direzione dell’azienda.

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Warren Buffet non ama le mezze misure, nemmeno quando si tratta di passaggio generazionale: «Lasciare gestire l’impresa ai figli, che io definisco lucky sperm club, è come far scegliere la squadra olimpica del 2020 fra i figli dei campioni olimpici del 2000». Probabilmente non ha tutti i torti, visto che solo il 30% delle aziende familiari sopravvive al fondatore mentre quelle che riescono ad arrivare alla terza generazione sono appena il 13%. Come per tutti i progetti di change management, la resistenza al cambiamento gioca un ruolo importante. Nei contesti di aziende familiari queste resistenze trovano un naturale sbocco soprattutto considerando che, tra due generazioni (a volte intervallate da diversi decenni), possano esserci divergenze nel valore attribuito alla propria azienda e nelle prospettive di sviluppo del business, anche perché il business viaggia molto più velocemente. La complessità si accentua anche perché a convivere sono spesso anche più di due generazioni. Può accadere che si arrivi a incrociare fino a cinque generazioni: dai tradizionalisti (quelli nati tra il 1927 e il 1945) che vivevano strutture gerarchiche molto rigide, ai baby boomer (nati tra il 1946 e il 1964) che hanno sempre gareggiato ferocemente tra di loro per lavori e promozioni. Sono competitivi e assertivi, ma privilegiano l’etica e i valori. Per arrivare poi alla generazione X (nati tra il 1965 e il 1981), scettici, concentrati su se stessi, diffidenti verso le grandi istituzioni, presumono che ogni lavoro sia temporaneo. Poi i Millennials (nati dopo il 1982, i maggiorenni nel 2000), cresciuti sotto la constante protezione e supervisione dei genitori, potrebbero risultare “deboli” sul posto di lavoro, specialmente in situazioni di tensione e conflitto. Fino alla generazione Z (nati tra la fine del decennio Novanta e il 2010), la generazione degli adolescenti d’oggi. Nativi digitali dove Internet regola il loro rapporto con la realtà e che hanno un concetto di genere meno rigido delle generazioni precedenti. Per ciascuno di loro l’idea stessa di impresa, di patrimonio, di risorse economiche e di lavoro è profondamente diversa. Il passaggio generazionale deve mettere in conto anche questo. 

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