Michael Faraday: una vita da scienziato per uscire dalla gabbia

Chimico e fisico autodidatta, esploratore dell’elettromagnetismo fino alle soglie della relatività

Michael Faraday: una vita da scienziato per uscire dalla gabbia
di Marco Barbieri
4 Minuti di Lettura
Venerdì 3 Novembre 2023, 06:00

Si dice Faraday e si pensa alla gabbia. Le dà noia essere associato indelebilmente a questa immagine? Si sente un po’ in prigione?

«Mi sembra una battuta molto british, come me. Ma la mia storia potrebbe essere una storia di evasione dalla prigione della povertà, dell’ignoranza, delle difficoltà, anche umane e personali. Sono nato in gabbia, ma ne sono uscito. La mia è una storia che avrebbe potuto scrivere Dickens…».

Famiglia povera, padre fabbro di salute cagionevole, mamma casalinga, quattro fratelli. E un fastidioso difetto di pronuncia. Non riusciva a pronunciare la “r”.

«E mi prendevano in giro; voi oggi direste che sono stato bullizzato, al punto che mia madre non volle che andassi più a scuola, per non farmi soffrire più».

Ma lei si è rifatto ampiamente, studiando da solo. Uno splendido autodidatta.

«Vero. Il mio stato sociale mi impedì di seguire le lezioni della Royal Institution. Ma lessi molto, moltissimo, fin da quando facevo il garzone in una libreria. Mi affascinavano i libri scientifici, chimica e fisica soprattutto. E ogni cosa che avesse a che fare con l’elettricità. Mi feci apprezzare abbastanza presto, ma i miei primi vent’anni di vita furono segnati da tante umiliazioni. Non dimentico il viaggio a Parigi con il mio mentore sir Humphrey Davy. Avrei dovuto essere il suo assistente scientifico, finii per fare anche il cameriere, fino al punto che la moglie di Davy, Jane Apreece, mi umiliò per tutto il viaggio. Mi balenò l’idea di rinunciare a tutto, comprese le scienze».

Per fortuna ci ha ripensato. A 23 anni era già membro della Royal Society. A 33 era già titolare di un insegnamento senza essersi mai laureato. E fu anche nominato cavaliere per il suo contributo scientifico da parte della regina Vittoria di Inghilterra. Troppo bello?

«Nulla è troppo bello per essere vero se obbedisce alle leggi della natura».

È anche la dimostrazione che le Istituzioni, e i centri di eccellenza, alla fine sono – o lo erano nella Gran Bretagna vittoriana – permeabili al merito?

«Un centro di eccellenza è, per definizione, un luogo in cui le persone di seconda classe possono svolgere un lavoro di prima classe.

Questo rende obbligati per il futuro. Un lettore universitario dovrebbe dare al suo pubblico piena ragione di credere che tutte le sue capacità sono state esercitate per la loro istruzione e il loro piacere».

Avevamo iniziato con una battuta sulla sua gabbia, la gabbia di Faraday.

«Ho solo dimostrato che la carica elettrica risiede solamente all’esterno di un conduttore carico, e che la carica esterna non ha influenza sull’interno del conduttore. È da lì che nasce la tecnologia che ha consentito di produrre il vostro microonde. O prima ancora la schermatura di tutti gli edifici contro le scariche elettriche: il parafulmine di Franklin era solo l’inizio».

Ha scoperto l’induzione elettromagnetica…

«Come spesso accade, fu un esperimento fortunato. La mia scoperta avvenne quando avvolsi due rotoli isolati di filo elettrico attorno a un grande anello di acciaio fissato a un tavolo. Ho scoperto che facendo passare corrente attraverso un rotolo, una corrente momentanea era indotta nell’altro rotolo. Il sistema anello d’acciaio-rotolo è ancora in mostra alla Royal Institution».

E poi la scoperta più suggestiva, forse, che certamente la collega agli studi che mettono in relazione luce e materia.

«Alla fine, sono riuscito a illuminare una curva magnetica e a magnetizzare un raggio di luce. Grazie a questa scoperta si è potuto stabilire che forza magnetica e luce erano connesse. Sulla Luna esiste un cratere con il mio nome anche per questo. Ma lei dimentica un altro pezzo della mia vita scientifica, non trascurabile».

Cioè?

«Guardi che sono stato un eminente chimico. Espertissimo di gas, sono riuscito a liquefarne molti. Ho scoperto il benzene. E ho prodotto molti nuovi tipi di vetro con scopi ottici. Le basta?».

Sì, ma temo che non basti a lei.

«Certo. Ho scoperto le leggi dell’elettrolisi; un argomento che divenne oggetto di una fitta e amichevole corrispondenza con un vostro scienziato, Carlo Matteucci. Ho imparato l’italiano per scrivergli».

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