Piove a Casei Gerola, piccolo Comune dell’Oltrepò Pavese, 2.500 residenti e polo logistico che serve il quadrilatero Milano - Genova - Torino - Piacenza. La temperatura segna 14 gradi. Eppure gli 8.500 pannelli fotovoltaici dell’impianto di Enel Green Power producono energia elettrica. Fanno il loro lavoro le celle di silicio incastonate in queste lastre sottili come cornici da camera, posate su settemila ettari di pianura pavese a una manciata di chilometri da Voghera, tra fabbriche e hangar. Un flusso di energia prodotta c’è, e scorre tra fili, inverter e centraline. Anche se piove, anche se c’è neve o le nuvole gonfie come in questo pigro giovedì pomeriggio. Gli impianti solari si sono evoluti, come questo da 5 MW che assicura 7 gigawattora di energia all’anno, cioè il fabbisogno annuale per tutte e 2.500 le famiglie di Casei. L’energia prodotta è inserita direttamente nella rete elettrica nazionale, con il punto di connessione situato proprio in prossimità del parco solare, quindi i residenti ne sono i primi beneficiari. Al contempo, si evitano tremila tonnellate di CO2, e quindi l’uso di combustibili fossili responsabili delle alterazioni climatiche. Si sono evoluti perché per farli funzionare non c’è più solo bisogno di un solleone e di pannelli specchio. Quelli montati qui sono pannelli speciali, di ultima generazione, che hanno tutte le virtù dei progenitori, migliorate.
Sono i nipoti del modulo statico che aspettava il solleone per attivarsi, e i figli del “pannello girasole”, quello che si sposta meccanicamente seguendo i raggi. Questi sono dispositivi bifacciali e consentono il 20% di produttività in più rispetto al classico dispositivo monofacciale. Sono mobili, attraverso un tracker seguono sempre l’irraggiamento solare ottimizzando l’efficienza delle celle. Ma hanno una caratteristica ancora più notevole: catturano la luce del sole due volte: attraverso la superficie esposta in alto, che guarda il cielo (e quindi il sole) e poi, anche attraverso il lato opposto, quello che guarda a terra, proprio la porzione di suolo che rimane in ombra, dove non batte il sole e che però sfrutta comunque una disponibilità di “luce diffusa” (quel chiarore più o meno intenso ma uniforme che filtra costante durante le ore diurne). Questo tipo di tecnologia sfata così il primo tabù che contraddistingue le rinnovabili: o sole o niente. Poi ne vince un altro ancora: che un impianto fotovoltaico sia ingombrante e poco desiderabile.