Dipendenze e ascolto su Viterbo, i 40 anni del Ceis: «Ancora in prima linea per i più fragili»

Dipendenza
di Maria Letizia Riganelli
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Domenica 4 Aprile 2021, 07:05 - Ultimo aggiornamento: 12:49

L’eroina è tornata a circolare prepotentemente, la cocaina non ha mai smesso. E i ragazzi, giovani e meno giovani, che cadono nel tunnel della dipendenza sono sempre di più. Una realtà che conosce bene il Ceis San Crispino, nato a Viterbo quasi quaranta anni fa.

«Viterbo come tutti la conosciamo è una delle più belle provincie italiane - spiega Francesco Melozzi, pedagogista del centro di ascolto “Una m ano amica” Ceis San Crispino -, in questa cittadina sorniona fanno capolino, alla fine degli anni ‘70, gli effetti della contestazione giovanile che in certo senso vogliono scuotere il letargo in cui vive la città, e che in alcuni casi si manifestano con l’uso di sostanze stupefacenti». All’inizio degli anni Ottanta quello che sembrava un fenomeno marginale e diventa un’emergenza. E grazie all’intuizione dell’allora vescovo Luigi Boccadoro inizia a prendere forma l’associazione che per un lunghissimo periodo si è preso cura dei ragazzi con dipendenze.

E lo fa ancora oggi. Protagonista e fondatore della storia del Ceis viterbese è sicuramente la figura di don Alberto Canuzzi, che proprio a Viterbo ha svolto il lavoro più prezioso, dando il via a un lungo viaggio non ancora concluso. «Negli anni 2000 - afferma ancora Melozz i- il Ceis ha aperto anche un servizio per persone con doppia diagnosi, specializzandosi in seguito anche nella cura delle dipendenze dal gioco d’azzardo e altre forme di nuove dipendenze.

Per questi motivi il Ceis è una di quelle “realtà vive e attuali”, come tante ce ne sono in Italia, attente sempre alle nuove esigenze che si presentano nel tempo e sempre alla ricerca di dare risposte adeguate ad ogni richiesta del territorio.

Come il servizio dello sportello d’ascolto nella storica via del Collegio, 2, dove tutto era iniziato, e che oggi è ancora una “sentinella sul territorio». 

Il Ceis è diventato in quasi 40 anni parte della storia di Viterbo. «Eh sì - dice ancora -, perché all’inizio la “cultura dominante” verso le problematiche dirette e indirette della “droga” era un’altra: i viterbesi all’inizio sono rimasti a guardare… anche perché i loro “figli drogati” non avevano bisogno della comunità». Oggi le richieste di aiuto e di intervento sono molteplici e sempre costanti. Il Ceis non lavora più solo con le dipendenza da droga, eroina, cocaina e alcol, ma anche con le dipendenze dal gioco d'azzardo e quelle che affliggono i più giovani legate alla tecnologia e ai social.

«Per dirla con le parole del suo presidente e fondatore, don Alberto Canuzzi, il Ceis - conclude Melozzi - è una parentesi “aperta” importante nella storia di Viterbo, fatta con amore e senza tanto clamore, ma che ha dato speranza e vita a molte persone che altrimenti avrebbero conosciuto soltanto l’abbandono».

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