Papa Francesco: l'Europa messa in pericolo dalla cultura gender, dal diritto all'aborto e dai populismi autoreferenziali

Papa Francesco: l'Europa messa in pericolo dalla cultura gender, dal diritto all'aborto e dai populismi autoreferenziali
di Franca Giansoldati
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Venerdì 28 Aprile 2023, 13:15 - Ultimo aggiornamento: 13:32

Città del Vaticano - Papa Francesco sceglie il cuore dell'Europa – la cattolicissima Ungheria – per rivolgersi a Bruxelles così come ad ogni Stato membro dell'Unione affinché si «ritrovi l'anima comune» senza essere ostaggio né di «populismi autoreferenziali» né tantomeno di lobby di varia natura che con «la via nefasta della cosiddetta cultura gender antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà», per esempio il diritto all'aborto. E' un Papa risoluto a recuperare le radici cristiane quello che si presenta davanti al premer Viktor Orban, con il quale da un anno a questa parte ha avviato diversi contatti e condividendo il timore di un Europa intaccata da logiche burocratiche e troppo materiali. «Penso dunque a un’Europa che non sia ostaggio delle parti» ma che «nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli». 

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Ecco la frase più importante del discorso che Papa Francesco rivolge alle autorità del Paese, al corpo diplomatico: «È questa la via nefasta delle colonizzazioni ideologiche, che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato “diritto all’aborto”, che è sempre una tragica sconfitta». 

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Appare molto stanco, si appoggia al bastone e si presenta con la carrozzella ma nel pronunciare uno dei discorsi più impegnativi di tutto il viaggio, Bergoglio  fa trasparire una energia fuori dal comune.

Il suo sogno, quasi un testamento, è di «costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia (perseguite con attenzione in Ungheria) dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno». 

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Non tocca il tema dei migranti, che in Ungheria è praticamente tabù, anche se Orban ha aperto le porte con grande generosità ai profughi ucraini, tuttavia il Papa proietta sull'Europa un altro suo sogno. «Il ponte più celebre di Budapest, quello delle catene, ci aiuta a immaginare un’Europa simile, formata da tanti grandi anelli diversi, che trovano la propria saldezza nel formare insieme solidi legami. In ciò la fede cristiana è di aiuto e l’Ungheria può fare da “pontiere”, avvalendosi del suo specifico carattere ecumenico: qui diverse Confessioni convivono senza antagonismi, collaborando rispettosamente, con spirito costruttivo». 

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Non manca di ringraziare il governo Orban per i generosi finanziamenti alla Chiesa che servono alla «promozione delle opere caritative ed educative ispirate da tali valori e nelle quali s’impegna la compagine cattolica locale, così come per il sostegno concreto a tanti cristiani provati nel mondo, specialmente in Siria e in Libano. È feconda una proficua collaborazione tra Stato e Chiesa che, per essere tale, necessita però di ben salvaguardare le opportune distinzioni. È importante che ogni cristiano lo ricordi, tenendo come punto di riferimento il Vangelo, per aderire alle scelte libere e liberanti di Gesù e non prestarsi a una sorta di collateralismo con le logiche del potere. Fa bene, da questo punto di vista, una sana laicità, che non scada nel laicismo diffuso, il quale si mostra allergico ad ogni aspetto sacro per poi immolarsi sugli altari del profitto». 

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Infine Papa Francesco affronta il tema della guerra in Ucraina e si lamenta della fatica di “edificare una comunità delle nazioni pacifica e stabile” visto che “tornano a ruggire i nazionalismi e si esasperano giudizi e toni nei confronti degli altri. A livello internazionale pare persino che la politica abbia come effetto quello di infiammare gli animi anziché di risolvere i problemi, dimentica della maturità raggiunta dopo gli orrori della guerra e regredita a una sorta di infantilismo bellico”. 

A suo parere la pace “non verrà mai dal perseguimento dei propri interessi strategici, bensì da politiche capaci di guardare all’insieme, allo sviluppo di tutti: attente alle persone, ai poveri e al domani; non solo al potere, ai guadagni e alle opportunità del presente. È dunque essenziale ritrovare l’anima europea: l’entusiasmo e il sogno dei padri fondatori, statisti che hanno saputo guardare oltre il proprio tempo, oltre i confini nazionali e i bisogni immediati, generando diplomazie capaci di ricucire l’unità, non di allargare gli strappi”. Il pensiero va poi a De Gasperi, Schuman e Adenauer.

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