Laurenti, di cosa vi state occupando in questo momento?
«Inizialmente, su richiesta della Regione Umbria, in quanto corpo di base sanitaria, ci è stato chiesto di tutelare il pre-triage dell'ospedale di Narni-Amelia. Quindi tutti i gruppi si sono messi a disposizione per gestire i turni e i riposi dei volontari di Terni-Amelia, gestiti dal capogruppo Gabriella Fabrizi che sta facendo un lavoro encomiabile. Poi il Centro operativo comunale amerino ha chiesto un upgrade, per aiutare direttamente la popolazione locale, per chi è chiuso in casa e aveva bisogno di spesa o assistenza telefonica e così il Cisom ha fornito due operatori per un lavoro di desk».
E a Perugia?
«Il Coc di Perugia ha richiesto il nostro intervento per verificare il corretto utilizzo dei varchi di accesso all'ospedale Santa Maria della Misericordia, per evitare troppi giri all'interno della struttura, per limitare e moderare le presenze al suo interno, per la sicurezza di tutti. Un lavoro di sistema, coordinato dal Coc e svolto con altri corpi di Protezione civile: l'associazione volontari carabinieri in congedo Perugia, il gruppo Perusia, il gruppo protezione civile di Corciano e il raggruppamento speciale di protezione civile. Stiamo davanti agli ingressi dalle 7.30 alle 15.30 e cerchiamo di gestire gli accessi, un parente per ogni malato. È difficile, ma è importante per tutti. La soddisfazione? Il senso di vicinanza che ci esprime il personale dell'ospedale. “Grazie – ci dicono – perché ci tutelate”».
E cos'altro fate, di bello e di buono?
«La delegazione dell'Ordine di Malta ha attivato accordi con l'Afas e Federfarma per la consegna a domicilio dei farmaci per gli anziani: anche noi, come gli altri gruppi, abbiamo fornito volontari. L'83 per cento dei nostri volontari sono attivi in questo momento: in due settimane abbiamo già fornito circa 500 ore di lavoro».
Quando entrate nelle loro case, come vi sentite?
«L'attività di distribuzione dei medicinali ha una chiara impronta umanitaria. Ed è bellissimo vedere il sorriso di queste persone quando arriviamo. Sono contente di vedere un volto amico. Per questi anziani siamo una finestra sul mondo che sta sfuggendo. Infondiamo loro coraggio. E a volte basta una parola, una chiacchiera per farli felici. Anche perché – oltre a tutti i dispositivi di sicurezza – siamo tenuti a far durare meno possibile questi incontri».
A proposito, come vi difendete dal virus voi che state in prima linea, in mezzo alla gente?
«Oltre alla nostra divisa, che è il primo dispositivo di protezione individuale, abbiamo ovviamente guanti e mascherine. Stiamo attenti. E laviamo e sanifichiamo la divisa appena tornati a casa, per averla pronta e sicura per la missione successiva».
Come vi preparate a questo tipo di attività?
«Siamo un Corpo nazionale su base volontaristica, svolgiamo soprattutto soccorso sanitario e di protezione civile, quindi tutti i nostri volontari hanno seguito un percorso formativo sul primo soccorso e le manovre di rianimazione, più un corso (di base ma volendo anche specializzato) di protezione civile».
A Perugia di cosa vi siete occupati ultimamente prima dell'emergenza coronavirus?
«Nel 2019 siamo stati impegnati con il progetto Salute in piazza: nei nostri stand informavamo sulle buone pratiche per restare in salute, con tanto di controlli a pressione o glicemia, per dire. È stato un anno impegnativo per noi, eravamo partiti in sordina, ma poi i numeri ci hanno dato ragione e sono diventati importanti».
Il gruppo di Perugia come è composto?
«È abbastanza eterogeneo. Ci sono medici, impiegati pubblici, liberi professionisti, dai 27 anni in su».
E perché lo fate? Non è dura soprattutto in un momento del genere?
«In tutti gli scenari in cui operiamo, ci sentiamo parte del sistema: questo ci dà la forza di uscire e metterci la divisa. Viviamo con l'idea che se nessuno si preoccupa del mondo, finisce male. Invece dobbiamo impegnarci tutti. E pensare, per esempio, che il solo “restate a casa” è la prima attività di protezione civile che possiamo mettere in pratica. Tutti».
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