Autofocus/Ecco chi ha avuto
il coraggio di iniziare

Ruggero Campi
di Ruggero Campi
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Venerdì 13 Maggio 2016, 09:12

 
Ecco una storia di lungimiranza e miopia, che comincia (con la lungimiranza) nell'ottobre 1902, quando fu inaugurato il primo “servizio regolare di vetture automobili a vapore fra due comuni fra Spoleto e Norcia”. Scriveva entusiasta la Rivista del Touring di quell’anno: “l'iniziativa spetta alla città di Spoleto. Infatti quel Comune dopo aver municipalizzati i servizi pubblici dell'acqua potabile e della illuminazione, ha voluto municipalizzare anche quello rurale di posta e messaggeria. Perciò non chiese aiuti a quel Padre Eterno che dovrebbe essere il Governo, facendo tutto da sé, offrendo così un esempio a tanti altri Comuni grossi e piccoli che non sanno invece spazzare una via senza invocar aiuti da Roma. (..) La strada costrutta mezzo secolo fa con la spesa di 100,000 scudi, è magnifica per arditezza, condotta come è fra gole anguste e su la montagna”. Gli automobili a vapore che, fra grandi feste e vermouth in abbondanza erano giunti da Spoleto a Norcia, “erano capaci ognuno di 20 viaggiatori di I e II classe e 4 persone pel servizio”. Il tragitto si poteva coprire nel tempo record di 2 ore e 20 minuti, anche se poi tra consegna della posta, carico e scarico delle merci e dei passeggeri ce ne volevano 4. L'idea era magnifica e il servizio molto utile a (ri)lanciare l'economia locale, ma i costi presto apparvero insostenibili, anche perché le lustre De Dion Bouton erano fragili e non se la cavavano come le moderne automobili con un tagliando ogni 30mila km. I nostri predecessori umbri non si fermarono per “così poco” e anzi rilanciarono: il 30 aprile 1912 fu deliberata la costruzione addirittura di una linea ferroviaria, affidando il progetto definitivo all’ingegnere svizzero Erwin Thomann, che già aveva progettato la ferrovia del Lötschberg  (la quale, sia detto per inciso, nel 2016 non solo è in piena attività, ma gode ottima salute, risolve il problema del traffico tra la regione di Berna, nel nord della Svizzera e il canton Vallese e soprattutto porta tanti sonanti franchi nelle casse pubbliche elvetiche). L'ing. Thomann dette il meglio di sè progettando un autentico gioiello di tecnica e ardimento, ovvero la mitica Spoleto-Norcia. Originario dello splendido canton Grigioni, quello di Sankt Moritz per intenderci, Thomann si innamorò della nostra regione e vi rimase. La sua opera era lunga 51 km, con 19 gallerie, 24 ponti di ferro, e pendenze alpine fino al 45 per mille: più che una ferrovia era - come si direbbe oggi – una visione. Nessuno oggi potrebbe seriamente immaginare un'opera del genere che invece, nei lontani e poco tecnologici anni '20, venne non solo pensata, ma completata e messa in funzione. Purtroppo la “visione”, o “il Gottardo dell'Umbria” come venne chiamata, si trasformò da gioiello di cui essere fieri in una “perdita”, in un “ramo secco”, o meglio così nel 1968 venne sbrigativamente bollata, senza minimamente esaminare le alternative, magari mettendo per un attimo il naso fuori di casa nostra e vedere che cosa, proprio nel paese di cui Thomann era originario, si stava facendo. La miopia, o forse la cecità, trionfarono. Una ferrovia per tanti versi analoga alla Spoleto-Norcia, il trenino rosso del Bernina, non vive su eserciti di pendolari da trasportare da Tirano a Sankt Moritz, ma ha un pingue bilancio in attivo perché ha saputo riciclarsi in una straordinaria attrazione turistica: è ardita e mozzafiato, corre tra luoghi splendidi e selvaggi, viene utilizzata dagli sciatori, dai fondisti, dai passeggiatori, dagli alpinisti, dai turisti e da molte persone che vogliono semplicemente godersi un tragitto inusuale tra le bellezze della natura. È stata dichiarata patrimonio dell'Unesco. D'estate alcune vetture sono scoperte, le biciclette sono le benvenute, le stazioncine più isolate tra i monti offrono sale di aspetto riscaldate e biglietterie automatiche, la ferrovia stessa propone continuamente pacchetti diversificati, terme, escursioni, soggiorni per tutte le fasce di età. Anche il nostro trenino azzurro aveva tutti i numeri per essere dichiarato patrimonio dell'Unesco, con il suo tracciato emozionante e gli splendidi, anzi unici, scenari naturali! E’ sparito nel nulla e per sempre, abbandonate e “vandalizzate” le stazioni, smantellati e “smaltiti” (sarebbe interessante sapere dove, come e a beneficio di chi) i bellissimi ponti in ferro. Nessuna voce si è levata a difenderlo, tantomeno dagli amministratori pubblici. Miopia, se non cecità. Il tragitto pedonale e ciclistico che lo ha “sostituito” non è neppure completato, parzialmente incluso in campi coltivati, smottato o invaso dalla vegetazione. Le agenzie turistiche faticano a formulare proposte, visto che l'offerta è cosi frammentaria e carente. I bei siti internet patinati non servono a molto, se intorno al virtuale non si costruisce il sostanziale, ovvero strutture ricettive, navette, attraversamenti in sicurezza. Già da queste colonne avevo in passato ribadito la necessità di mettere a sistema le risorse (immense) della nostra regione, ripensando la nostra “offerta” in maniera integrata e proteggendo strade bianche, tragitti ferroviari minori, case cantoniere, sull'onda del turismo in crescita dei trekking, della bicicletta, della riscoperta „lenta” del territorio. Abbiamo un marchio potente, quello che i pubblicitari chiamano “a very appealing brand" : vi sarà capitato di dire “abito in Umbria” e regolarmente vi sarete sentiti rispondere “che posti meravigliosi!”. E allora, prima di tagliare frettolosamente “rami secchi”, senza averne valutato la morte effettiva, cerchiamo di essere lungimiranti, come lo furono i nostri predecessori di cento anni fa.
Come dire non è mai troppo tardi!
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