Affitto di palazzo Monaldi, voleva risparmiare e ora la Regione rischia di pagare un milione di euro

Palazzo Monaldi in via Baglioni
di Egle Priolo
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Mercoledì 3 Aprile 2024, 09:24

PERUGIA - Affitto di palazzo Monaldi con un milione chiesto alla Regione, è tutto da rifare. La Cassazione ha infatti annullato con rinvio alla Corte di appello di Perugia la sentenza con cui in secondo grado era stata dichiarata legittima la risoluzione del contratto di affitto di palazzo Monaldi nel 2014. Sentenza, del maggio 2020, con cui era stata ribaltata la decisione del tribunale civile di primo grado, con cui invece la Regione era stata condannata a risarcire la società proprietaria dell'immobile su via Baglioni con poco meno un milione di euro. Sentenza, ancora, contro cui ha fatto appello proprio la Palazzo Monaldi srl, società costituita appositamente nel 2008 dopo l’acquisto dell’edificio dall’Ina per quasi cinque milioni, che ha ribaltato nuovamente la decisione, con il caso – pesante per le casse pubbliche – che ora ritorna in piazza Matteotti. Una corte, di composizione diversa rispetto al primo secondo grado, dovrà ora decidere sulla base delle indicazioni che la Terza sezione civile della Cassazione ha vergato sull'ordinanza numero 8254 dello scorso 27 marzo, che ha accolto due motivi di appello proposti per la società dall'avvocato Ferruccio Auletta.

La storia è complessa e parte da molto lontano. Per anni, infatti, palazzo Monaldi, edificio storico e costola di pregio della sede dell’assemblea legislativa, tetti bassi e dedalo di scale e stanze, è stato la residenza di diversi gruppi politici. Da Rifondazione comunista a Forza Italia e Pdci, i consiglieri e i loro collaboratori dal 1997 hanno potuto usufruire di uno dei palazzi signorili del centro di Perugia - fatto costruire dal cardinale Benedetto Monaldi Bracceschi – come loro ufficio. Ma nel 2014 l’ufficio di presidenza del consiglio regionale (presidente Eros Brega) decide di recedere dal contratto di affitto da oltre 400mila euro l’anno, firmato nel 2010 e in scadenza solo nel 2016. Il motivo è semplice e, insieme, alto: spending review. Era appena stato tagliato il numero dei consiglieri regionali, da 30 a 20, e si è pensato che palazzo Cesaroni bastasse per ospitare tutti, a fronte di un risparmio davvero cospicuo per le casse dell’ente.

Una scelta dettata quindi dalla volontà di tagliare le spese, spiegata con «gravi motivi» e con un preavviso di 6 mesi, che però non ha fatto i conti con i quasi 28mila euro al mese attesi dai proprietari del palazzo. Che hanno sempre contestato la tempistica del recesso, «esercitato dalla Regione – ricorda la Cassazione accogliendo proprio questo motivo di ricorso - con raccomandata del 29 dicembre 2014, dopo la scadenza dei limiti temporali». E per questo illegittimo, secondo la corte presieduta da Raffaele Gaetano Antonio Frasca. I giudici infatti, tra le 14 pagine di ordinanza, spiegano come «le ragioni che consentono al conduttore il recesso anticipato devono essere determinate da avvenimenti estranei alla sua volontà, imprevedibili, sopravvenuti alla costituzione del rapporto e tali da renderne oltremodo gravosa la prosecuzione. Le predette ragioni non possono identificarsi con la necessità di perseguire gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica e di razionalizzazione degli spazi». Insomma, la spending review non può bastare come motivo, come sostenuto dalla Palazzo Monaldi, che per prima - nel 2017 - aveva portato la Regione in tribunale «chiedendo la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento», oltre al «risarcimento del danno, sul triplice presupposto dell’illegittimo recesso, in assenza dei “gravi motivi”, della mancata esecuzione dei lavori di restituzione in pristino del palazzo e dell’inesatto adempimento in ordine all’obbligazione di pagamento dei canoni di locazione». E proprio su questi temi dovrà adesso pronunciarsi la Corte di appello di Perugia, con la Regione – assistita dall'avvocato Mario Rampini – pronta a difendere quel milione di euro di soldi pubblici, per evitare anche che finiscano nel mirino della Corte di conti.

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